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Dove va la scuola di Didattica?


di Giuseppe Grazioso (docente al corso di Didattica della Musica, Conservatorio di Cuneo) da SIEM Informazione di aprile 2000

La Scuola di Didattica della musica opera all’interno del Conservatorio dal 1969. Istituita con il «fine di provvedere alla formazione degli insegnanti di materie musicali nelle Scuole di altri ordini», era un Corso triennale straordinario al termine del quale veniva rilasciato un attestato di frequenza. Nel 1992 è diventata Scuola ordinaria di durata quadriennale al termine della quale si consegue un diploma. Vi si accede con un diploma di Conservatorio o, per i Corsi decennali, con l’ammissione al 9° anno. La frequenza è obbligatoria per tutti e quattro gli anni e, di conseguenza, non ci si può presentare agli esami finali da privatisti. Le discipline di studio sono le stesse dell’ex Corso straordinario: Pedagogia musicale, Elementi di composizione, Direzione di coro e repertorio corale, Storia della musica, Pratica della lettura vocale e pianistica. È dunque un corso di studi molto impegnativo che richiede ai frequentanti tempo e dedizione.

Le cinque discipline, come si è detto, sono state a suo tempo concepite in vista della preparazione ai concorsi per l’insegnamento dell’Educazione musicale e i programmi attuali non si discostano da questa impostazione di base. Per cui logica vorrebbe che, al termine del corso, i diplomati avessero diritto a partecipare ai concorsi a cattedre. E invece no. La legge n. 341 stabilisce che per accedere all’insegnamento occorre avere una abilitazione che si consegue dopo la frequenza di un corso di specializzazione gestito dalle Università. Per iscriversi a questi corsi, al momento attivati solo in poche Università, basta avere un qualsiasi diploma di Conservatorio. Il diploma di Didattica non dà alcun titolo preferenziale ed è equiparato agli altri diplomi, nonostante sia l’unico che fornisce una serie di competenze specifiche per l’insegnamento dell’Educazione musicale.

Invano si è sperato che il Ministero riconoscesse l’equipollenza tra Diploma di didattica e Specializzazione universitaria o che affidasse ai Conservatori la gestione dei corsi di specializzazione per le discipline musicali. Al momento attuale, perciò, il diplomato in Didattica (che quasi sempre ha un altro diploma di Conservatorio e spesso un diploma di Scuola media superiore o una laurea) se vuole insegnare nella scuola deve sobbarcarsi ad altri due anni di studio, fatta eccezione, forse, per coloro che si sono diplomati prima dell’A.A. 1999/2000 in base a quanto indicato dall’ambiguo e poco chiaro art. 4 della legge di riforma dei Conservatori. Questa situazione ha creato una notevole "crisi di vocazioni" e gli iscritti alla Suola, almeno nel Nord Italia, sono in preoccupante diminuzione. Occorre, però, fare una precisazione. Noi insegnanti di Didattica non abbiamo mai concepito la nostra Scuola come preparatoria ai concorsi a cattedre. Ognuno di noi adatta i programmi ministeriali a quelle che sono le effettive esigenze degli allievi. Esigenze che vanno al di là di una semplice preparazione ai concorsi. Cerchiamo di colmare, nei limiti delle nostre possibilità, le carenze della normale preparazione del Conservatorio che si preoccupa di formare prevalentemente degli strumentisti con elevata specializzazione, ma trascura la preparazione generale di un "musicista, che se vuole esser degno di tal nome, deve possedere competenze che non siano limitate alla bravura esecutiva sul proprio strumento. Inoltre, per quanto riguarda il campo specifico dell’Educazione musicale, andiamo al di là dei ristretti orizzonti della preparazione dei futuri insegnanti di Scuola media, curando la formazione di esperti in didattica della musica che, tanto per fare alcuni esempi, siano in grado di insegnare dalla scuola materna a quella superiore, di gestire attività di animazione, dirigere cori e gruppi strumentali, essere pronti a soddisfare con competenza e professionalità le richieste (che stanno diventando sempre più numerose) di quelle scuole che, nell’ambito dei progetti di autonomia, fanno ricorso ad esperti esterni.

Probabilmente, questa visione allargata dell’Educazione musicale sta attualmente tenendo in vita le Scuole di didattica. Nell’immediato futuro, però, bisogna trovare nuove soluzioni. La legge n. 508 ha riformato i Conservatori trasformandoli in Istituti superiori di studi musicali che rilasceranno «diplomi accademici di primo e di secondo livello» equipollenti ai titoli di studio universitari. In altri termini, si uscirà dagli ISSM non più con un diploma, ma con una laurea. È ovvio che i programmi delle attuali scuole conservatoriali dovranno essere completamente rivisti e modificati. La legge riconosce agli ISSM «autonomia statutaria, didattica, scientifica…» pur sempre nel rispetto di criteri generali che dovranno essere definiti da regolamenti che saranno emanati in un futuro si spera non lontano. In mancanza di questi regolamenti molti punti della legge rimangono poco chiari e a molte domande non si può dare una risposta certa. È però già evidente che gli ex Conservatori, come le Università, potranno decidere autonomamente quali strutture organizzative e pedagogico–didattiche dare ai corsi operanti al proprio interno. In questo contesto la Scuola di didattica avrà l’occasione per ridefinire le proprie finalità, le discipline di studio, l’articolazione degli orari di insegnamento, i diversi indirizzi di specializzazione (multimedialità, didattica strumentale, animazione, ecc.) compreso quello per l’insegnamento dell’Educazione musicale scolastica (la legge sembra lasciare qualche spiraglio per la riforma dell’ordinamento attuale).

Occorrerà, soprattutto, far sì che la futura laurea in Didattica sia concretamente spendibile nel mondo del lavoro che non potrà più essere esclusivamente quello scolastico. Il dibattito è già cominciato all’interno dei vari Conservatori, ma bisognerà trovare in qualche modo una forma di coordinamento per evitare che ognuno segua la propria strada senza tenere conto di quella degli altri. Sono convinto, tuttavia, che i regolamenti porranno dei limiti ben precisi che restringeranno gli spazi dell’autonomia. La SIEM, che dispone già di una consolidata organizzazione interna, dovrebbe contribuire attivamente al dibattito, sia intervenendo costruttivamente a livello ministeriale, sia facendo delle proposte sulle quali discutere. Ciò rientra pienamente nei suoi obiettivi di politica culturale che sono sempre stati indirizzati verso un’Educazione musicale che stia al passo con i tempi.

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