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Educazione musicale, quando cominciare?


di Andrea Apostoli

Martedì mattina ore 10-45: Emma entra nella classe di musica, si guarda intorno curiosa e sorride agli altri bambini. D’un tratto i suoi insegnanti di musica iniziano a cantare una melodia e lei spalanca i suoi occhioni, apre la bocca e rimane incantata, immobile; Francesco canta una risposta casuale alla melodia appena ascoltata, che viene subito rinforzata ed imitata dagli insegnanti; Federica si muove ritmicamente con tutto il corpo e Filippo canta risposte intenzionali perfettamente intonate. Gli insegnanti instaurano veri e propri dialoghi intonati con tutti i bambini nella completa assenza di comunicazione verbale e in una dimensione di movimento libero e fluente.

Niente di strano, forse , se non il fatto che Emma ha 8 mesi di vita e che insieme ad altri bambini che vanno dalla nascita ai 3 anni, e ai loro genitori, due volte alla settimana frequenta un corso di musica basato sulla Music Learning Theory di Edwin Gordon, volto a sviluppare la sua attitudine musicale e a fornirle una straordinaria e quanto mai ricca opportunità di apprendimento. Ma cosa mai possono fare dei bambini così piccoli? Questa è la domanda che più spesso mi sento rivolgere da quando mi occupo di musica per la prima infanzia. Si considera ovvio il fatto che un bambino impari a comunicare nella sua lingua madre e, nel caso dei bilingue, in due lingue, durante i primissimi anni di vita, e che ci si rivolga, parlando, a bambini di pochi mesi senza che questi possano comprendere il significato di ciò che viene detto loro e men che meno rispondere a parole.

Perché allora meravigliarsi di fronte all’idea di lasciar assorbire al bambino da subito il linguaggio musicale che tanta parte ha nella vita di ciascuno di noi a prescindere dal fatto che si sia musicisti o no, che si sia produttori attivi di musica o semplici ascoltatori? Quello che ci interessa non è dunque cosa possono fare dei bambini così piccoli ma, semmai, come e cosa possono apprendere. Il consueto modo di rapportarsi al bambino in tenerissima età come ad un esserino da nutrire ed accudire più che ad un individuo portatore di bisogni cognitivi, quale i recenti studi nel campo della psicologia dello sviluppo lo dipingono, ha portato l’educazione musicale tradizionale a trascurare quella che viene definita la finestra di apprendimento più importante nella vita di un individuo e cioè il periodo che va dalla nascita ai tre anni.

E’ durante questi anni che il bambino sviluppa le sue attitudini e le sue potenzialità di apprendimento che lo accompagneranno per tutta la vita. Il piccolo cervello infatti cresce e si sviluppa in base alla quantità e alla qualità degli stimoli ricevuti, vedendo aumentare nei primi anni di vita in maniera impressionante il numero di connessioni sinaptiche e cioè dei collegamenti fra neuroni che sono il luogo dell’apprendimento (un bambino fra i 2 e i 4 anni arriva ad averne il doppio di un adulto).

Da questi presupposti è partito Edwin E. Gordon, Distinguished Professor alla South Carolina University, autore di numerose ricerche sull’attitudine musicale e della Music Learning Theory che è alla base dei programmi di educazione musicale per la prima infanzia insegnati in diverse università degli Stati Uniti. Alla luce delle sue ricerche, svolte nell’arco di più di 30 anni, risulta di fondamentale importanza iniziare il processo di educazione alla musica nella primissima infanzia con modalità che rispecchiano il percorso di apprendimento linguistico e che si strutturano in un vera e propria metodologia di insegnamento.

Il bambino dovrebbe essere esposto alla musica tanto presto quanto viene esposto alla lingua. Viceversa la convinzione dominante è che un bambino sia pronto all’apprendimento musicale non prima, nella migliore delle ipotesi, dei 3 o 4 anni di età, momento in cui è in grado di "fare" in qualche modo musica. Il fatto che il processo di educazione musicale venga iniziato in ritardo e che si trascuri il periodo da zero a tre anni, si traduce nella perdita degli anni in cui si può fare di più per sviluppare l’attitudine musicale del bambino producendo in questo modo un grande spreco di risorse umane.

L’attitudine musicale, e cioè la potenzialità di apprendimento in musica, comunemente definita talento musicale, vede infatti nei primi anni di vita dell’individuo un importante momento di sviluppo. Questa attitudine fa parte del patrimonio personale di ogni individuo, ed è innata; ma un ambiente ricco di stimoli musicali è la condizione indispensabile perché si sviluppi al massimo delle sue potenzialità, così come un ambiente povero di stimoli musicali ne decreta automaticamente l’involuzione.

Ma qual è il panorama di stimoli musicali che si offre normalmente al bambino in tenerissima età? Il repertorio di canzoncine e ninne nanne normalmente cantate o fatte ascoltare ai bambini, così come la musica che maggiormente viene diffusa dai media, è in grandissima parte in tonalità maggiore e ritmo binario. Ma l’equazione tenera età/semplicità di linguaggio è un’equazione perdente sul fronte dell’apprendimento e la convinzione che semplicità e assenza di varietà siano le caratteristiche più adatte alla musica dedicata alla prima infanzia è profondamente errata. Noi finiamo per trascurare lo sviluppo musicale dei nostri bambini come non ci sogneremmo mai di fare per lo sviluppo linguistico. Le mamme di bambini di pochi mesi infatti sono istintivamente portate a parlare continuamente con i loro piccoli e, in quanto destinatari di comunicazione diretta o testimoni di comunicazione fra adulti, i bambini vengono letteralmente immersi fin dall’inizio in tutta la lingua e non in una parte semplificata di questa.

Cosa succederebbe infatti se i nostri piccoli non ascoltassero nei primi mesi di vita la loro lingua avendo la possibilità di interagire spontaneamente con gli adulti attraverso balbettii , lallazione spontanea, ecolalia e così via fino alle prime frasi? Non potremmo certo pretendere che a tre anni di età riescano ad esprimere i loro pensieri in parole e a comunicare con noi, in quanto la loro attitudine linguistica non avrebbe avuto la possibilità di svilupparsi al meglio. E’ l’insieme di varietà, complessità e ripetizione degli stimoli che favorisce l’apprendimento. Tutto ciò che si apprende infatti è il risultato di un processo discriminatorio volto a cogliere differenze e similitudini, a fare paragoni in un ambito più vario possibile di stimoli. Il miglior modo di facilitare l’apprendimento di un determinato linguaggio è dunque quello di esporlo nella sua totalità e complessità.

Come attuare tutto questo in musica? Senz’altro iniziando l’acculturamento musicale del bambino dalla sua nascita se non prima, come direbbero coloro che fanno ricerche nel campo dell’educazione prenatale, con l’esposizione diretta ad una grande varietà di stimoli musicali forniti in una dimensione comunicativa. Varietà significa melodie in maggiore, minore, dorico, misolidio e se possibile anche in frigio, lidio e locrio e sequenze ritmiche in 2, in 3, in 5 in 7 ecc.. Quanto più potrò paragonare il maggiore ad altri modi tanto più avrò affinato la mia conoscenza del maggiore. Quanti più metri ritmici avrò conosciuto nel mio acculturamento musicale e tanto più in me si rafforzerà la conoscenza del ritmo binario. Che cos’è il freddo se non ho sperimentato il caldo? E se poi sperimenterò il tiepido e il fresco non sarò forse ancora più in grado di riconoscere il freddo? Ricerche portate avanti da E. Gordon hanno dimostrato che su tre gruppi campione di bambini in tenerissima età stimolati dalla nascita ai tre anni con melodie in maggiore il primo gruppo, in maggiore e minore il secondo e con melodie in maggiore, minore, dorico e misolidio il terzo, il gruppo dei tre ad aver appreso meglio il modo maggiore (l’unico conosciuto da tutti e tre i gruppi) era il terzo e cioè quello stimolato con i quattro modi. Come a dire che so cos’è il modo maggiore perché l’ho potuto paragonare nel processo di apprendimento discriminatorio agli altri modi diversi dal maggiore stesso.

Di fondamentale importanza in tutto il processo è il ruolo degli adulti chiamati, senza forzature e a seconda della loro attitudine musicale, a partecipare attivamente alle attività proposte dagli insegnanti durante le lezioni. Questo cantare e muoversi per e con i bambini produce un importantissimo effetto didattico. Non si insegnano ripetitivamente semplici attività ai bambini né li si spinge in alcun modo alla partecipazione diretta; li si lascia invece liberi di apprendere dal modello messo in atto dagli adulti. Tutto questo ha un nome: guida informale.

La guida informale consiste nel mettere semplicemente in atto i comportamenti che si vuole siano oggetto di apprendimento in una modalità di educazione implicita, non direttiva né verbalizzata. In questo modo i bambini hanno l’opportunità di partecipare ad attività complesse non ancora alla portata del loro grado di sviluppo senza la guida degli adulti. Per dirla con Vygotskji, il noto psicologo evolutivo: "L’unico buon apprendimento è quello in anticipo allo sviluppo". I bambini in breve tempo spontaneamente e spesso in momenti diversi dalla lezione sbalordiranno i loro genitori mettendo in atto comportamenti musicali assorbiti nelle ore di musica.

Liberati dall’ansia di spingere a fare, più che ad apprendere, i genitori riscopriranno in campo musicale ciò che fanno istintivamente nel campo dell’apprendimento linguistico. Il bambino non spinto a battere le manine a tempo o a fare gesti che rappresentino il testo di canzoncine, in breve tempo coordinerà spontaneamente i suoi movimenti , il suo respiro e la sua voce alla musica presente nell’ambiente, dimostrando magari di potersi muovere a tempo in 5/4 o di poter cantare la tonica o la dominante di un brano appena ascoltato. Tutto questo anche a pochi mesi di vita. Soltanto dopo la giusta dose di acculturamento svolto nelle modalità della guida informale il bambino sarà in grado di approfittare al meglio dell’istruzione formale al linguaggio musicale. Nell’apprendimento linguistico questo processo dura almeno cinque anni. Non sarà un problema poi spiegare al bambino come si scrive qualcosa che lui già conosce, pronuncia e usa normalmente nel suo linguaggio giornaliero né sarà difficile addentrarlo alle regole della sintassi grammaticale da lui già conosciuta a livello pratico.

Il processo di apprendimento teorizzato da Gordon prevede lo sviluppo dell’Audiation, capacità di ascoltare internamente e comprendere la musica quando il suono non è fisicamente presente nell’ambiente, attraverso il passaggio del bambino attraverso tre fasi evolutive: Acculturamento, Imitazione e Assimilazione. Quando il bambino, arrivato alla fase di assimilazione, avrà sviluppato questa capacità di "pensare musicalmente", si potrà iniziare l’istruzione musicale formale dando nome a ciò che il bambino ha già dentro in un processo che parte dal suono per arrivare, solo in un secondo momento, alla sua rappresentazione simbolica, la notazione.

L’educazione musicale per la primissima infanzia basata sui principi di Gordon negli Stati Uniti è già una realtà. Non c’è che da diffonderne le motivazioni, trasmettere la metodologia e lavorare perché presto anche i bambini italiani possano avere una così importante opportunità di sviluppo musicale.

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