Eventi e concerti
di Nicola Colabianchi
Vi siete accorti che l’Accademia di Santa Cecilia ha presentato nei giorni scorsi la nuova stagione concertistica, quella del 2015-2016, e che da qualche settimana ha un nuovo Presidente-sovrintendente? No! Direte voi. Del resto con i tanti problemi che in questo particolare momento ci attanagliano (c’è mai un momento che non sia ‘particolare’ e senza problemi che ci attanagliano?) la notizia, anzi le due notizie ci sono sfuggite. Va poi aggiunto che di questi tempi l’interesse della carta stampata per tutto ciò che riguarda la cultura in generale o la musica in particolare diventa sempre più esiguo, e le notizie vengono consumate con pochissima attenzione e spesso nessun approfondimento.
Sui giornali, quindi, abbiamo letto gli articoli relativi alla presentazione della nuova stagione basati su di una condivisione pressoché supina di ciò che viene proposto, con il solito approccio superficiale e acritico, che non fornisce al lettore alcun elemento di valutazione che possa aiutare a formarsi un’opinione. Infatti delle grandi istituzioni si deve parlare solo bene, altrimenti è meglio non parlare, meglio non guastarsi i rapporti… Questo, naturalmente non è un bel segnale per una classe giornalistica che non risulta essere tra le più brillanti, libere ed indipendenti.
Non ci esimeremo noi, invece, dal sottoporvi le nostre riflessioni sulla presentazione dei concerti e delle iniziative della principale stagione sinfonica italiana, che abbiamo trovato nel più perfetto stile ‘internazional popolare’ che forse sarebbe meglio definire ‘internazional banale’, all’insegna di quell’infinitamente medio che ritiene di risultare infinitamente grande ed è, invece, soltanto globalizzato, il che significa ‘perfettamente attuale’, cioè fare esattamente quello che fanno tutti gli altri. In sostanza una stagione alla moda, basata su poche idee, che vogliono apparire all’avanguardia della novità ma che utilizzano soltanto la moneta corrente.
Lo sforzo di presentare una stagione che fosse alla moda e che piacesse ai giornalisti ha visto dare la conferenza stampa in streaming, cosa che fa tanto moderno e tanto trasparente. Infatti non deve piacere o interessare per la proposta: il contenente è più importante del contenuto.
L’ ‘ubi consistam’ del programma proposto dal nuovo Presidente-sovrintendente della Fondazione, Michele Dall’Ongaro, è Beethoven, del quale verranno proposte tutte le sinfonie (che novità!), in alcune occasioni associate a composizioni contemporanee appositamente commissionate. A dirigerle tutte sarà Antonio Pappano, che ha confermato che manterrà il ruolo di direttore musicale dell’Orchestra per altri quattro anni ed ha anticipato che per il prossimo anno inaugurerà la stagione con un Fidelio in forma di concerto con un ‘cast stellare’. Il ciclo beethoveniano continuerà dunque anche nel prossimo anno?
Quella del Fidelio con ‘cast stellare’, in verità, è idea che interessa pochissimo: i grandi nomi internazionali sono semisconosciuti a quel grande pubblico che va a sentire le sinfonie di Beethoven, mentre i nomi ‘evergreen’ sono dei sepolcri imbiancati, vedi Nucci o Domingo (quest’ultimo ormai ha raggiunto un’immagine dai contorni patetici, con quel suo cantare i ruoli da baritono con logorata voce tenorile) e che nonostante abbiano superato i settanta, passano ancora da un teatro all’altro, segno che certo pubblico (quello presenzialista che va a teatro una tantum) non ha orecchie: come se qualcuno facesse giocare ancora Maradona per deliziare gli appassionati di calcio…
In verità il divismo basato sull’eccellenza non esiste più. In questa società delle comunicazioni, lo abbiamo ripetuto più volte non si è famosi perché bravi, ma si è bravi perché famosi. Provate a domandare a caso in un ambiente non di melomani il nome di un soprano: vi faranno quello della Ricciarelli che non canta più da anni, e se chiedete il nome di un tenore risponderanno con quello di Pavarotti che è morto da circa un decennio. La lirica, purtroppo, non interessa più se non ad un pubblico di nicchia che parla dei suoi campioni solo nei propri sodalizi iniziatici.
Ritornando al Fidelio, appare come una piccola idea che sembra creare una competizione con La Scala: Pappano vuole mostrare di essere più bravo di Barenboim (del quale, però, viene scritturato in stagione il figlio violinista) e di essere capace di fare un cast migliore di quello di Milano, o forse vuole fare un disco e venderne tante copie sulla scia della pubblicità che il titolo beethoveniano ha già guadagnato con la trascorsa inaugurazione milanese?
Ormai Santa Cecilia, unica fondazione sinfonica italiana, sta diventando anche fondazione lirica visto che propone ogni anno titoli d’opera del repertorio (vedi l’Aida della stagione in corso). Non che la cosa non presenti aspetti positivi, ma non capiamo la ragione di proporre, in una stagione concertistica, titoli d’opera più o meno popolari: per fare concorrenza all’Opera di Roma, per promuovere dischi del suo direttore principale, perché non si hanno idee da proporre, per cercare un facile consenso?
La stagione 2015/16 verrà chiusa da un titolo d’opera: ‘Così fan tutte’.
Ci teniamo a precisare che la programmazione di titoli d’opera sarebbe assolutamente apprezzabile se proponesse opere inconsuete, dimenticate, rare, di quelle che è opportuno presentare in forma di concerto perché è difficile poterle vedere realizzate in forma scenica a teatro. Per questo vorremmo domandare al sovrintendente dell’Opera di Roma Carlo Fuortes, presente alla conferenza stampa, perché non vengano concordate programmazioni tra le due fondazioni in modo di garantire al pubblico della capitale, e non solo, un’offerta più completa ed organica. Forse il sovrintendente Fuortes era presente per il concerto Disney Fantasia (la proiezione del film con la musica eseguita dal vivo) realizzato in collaborazione con la fondazione ‘Musica per Roma’ di cui è ancora amministratore delegato?
In considerazione del prossimo Giubileo, poi, sono stati programmati svariati brani di musica sacra: un’ottima occasione (perduta) per mettere in programma musiche di Lorenzo Perosi o di Licinio Refice o, ad esempio, dell’ex accademico Domenico Bartolucci recentemente scomparso.
Nella più importante istituzione concertistica nazionale, quindi, di compositori italiani, oltre ai ‘giovani’ cui è stata commissionata una composizione, sono presenti soltanto Rossini, Cherubini e Spontini con una ouverture d’opera ciascuno(!) e Verdi con l’esecuzione della Messa da Requiem: materiale che messo tutto insieme sarebbe insufficiente a completare due soli programmi di concerto dei 32 previsti! Per non parlare della presenza italiana ridotta al lumicino anche tra gli interpreti, con solo tre direttori su 32 concerti. Ogni anno è la stessa storia se non peggio… Io mi astengo dal commentare, valutate voi.
Fonte: www.lindro.it
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