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di Nicola Colabianchi
Muti è tornato! Lo ha fatto con una lunga intervista al Mattino di Napoli dove ha risposto a molte domande sulla musica, sull’Italia, sul suo rapporto con l’Opera di Roma, sui teatri italiani sulla loro gestione, sulle vicende relative alla nomina del nuovo sovrintendente per il Teatro San Carlo di Napoli.
Delle tante domande postegli abbiamo trovato interessanti soprattutto quelle relative all’Opera di Roma e al Teatro San Carlo perché consentono di effettuare alcuni ragionamenti. Non che le altre domande non destassero interesse, ma esprimevano essenzialmente opinioni già esplicitate in altre occasioni. Sull’Opera di Roma, invece, dall’epoca dell’invio da Chicago della lettera in cui si congedava dal Teatro e rinunciava a dirigere i due titoli preventivati, è la prima volta che il maestro Muti rompe il silenzio e fornisce una sua spiegazione sulle decisioni prese.
Come si ricorderà, era stata una separazione inaspettata che aveva suscitato un grande clamore soprattutto perché sembrava che fosse stata determinata esclusivamente da una delle parti in causa. Un fulmine a ciel sereno dopo le innumerevoli e reiterate dichiarazioni d’amore. Un inaspettato abbandono dopo alcuni anni insieme e la nomina a “Direttore musicale onorario a vita” del Teatro dell’Opera di Roma. La causa, dissero zelanti ed all’unisono tutti i giornalisti italiani più compiacenti, era unicamente il sindacalismo spinto dei musicisti “super pagati” dell’orchestra del Teatro dell’Opera (tra virgolette l’affermazione, ovviamente fasulla, più ricorrente), che avevano fatto perdere la pazienza al Maestro, il quale dopo tanto, anzi troppo tollerare aveva considerato la corda ormai spezzata.
Il vertice dell’Istituzione prese la palla al balzo per proclamare una decisione senza precedenti e cioè il licenziamento di tutti i dipendenti di coro e orchestra, circa 200 persone (il corpo di ballo era già ridotto a poche unità per una politica basata sull’incremento dei pensionamenti e stop al turnover), salvo poi riassumerli tutti a qualche mese di distanza, dopo una brevissima trattativa che otteneva tagli ad alcuni benefici goduti dai musicisti e, quindi, una sostanziale riduzione degli stipendi, con conseguente rientro di quei circa tre milioni di euro richiesti dalle esigenze di bilancio.
Noi dicemmo da subito che non poteva essere una scelta casuale, perché non si possono effettuare licenziamenti di massa di personale a tempo indeterminato per poi riassumere altre persone con le stesse mansioni. Dicemmo anche che non si potevano licenziare centinaia di persone per risparmiare circa tre milioni di euro perché ci sarebbero state spese di gran lunga superiori a quella cifra: per affrontare gli innumerevoli contenziosi relativi alle cause che sarebbero state intentate, per tutte le liquidazioni da pagare, per le nuove procedure di reclutamento da affrontare, per la paralisi che il Teatro avrebbe subito nelle more della riorganizzazione, per il danno di immagine etc.
Infatti andò come previsto, ed i licenziamenti rientrarono dopo brevissima trattativa che i vertici del Teatro affrontarono da ovvie posizioni di forza e nella quale ottennero tutto il richiesto. Una volta calmatesi le acque il sovrintendente Fuortes dichiarò che il maestro Muti sarebbe potuto tornare prima o poi, visto che rimaneva comunque il “Direttore onorario a vita” del Teatro.
Ora si rifà vivo anche il maestro Muti che, uscito dalle cronache giornalistiche italiane dall’inizio della vicenda romana, torna a parlare in un’intervista. In essa sostiene che fu la Tournée in Giappone, con la diserzione di una parte dei professori d’orchestra, che non parteciparono per vari motivi, a rappresentare la goccia che fece traboccare il vaso della sua pazienza e che determinò la sua uscita dal Teatro.
Ci sembra, però, che gli eventi non trovino piena corrispondenza con le ultime dichiarazioni: nella lettera di addio da lui scritta non si faceva nessun riferimento alla tournée giapponese e non si citavano le presunte defezioni a questa; in precedenza non era mai stato pronunciato alcun riferimento alle turbolenze sindacali (che, ad esempio, avevano determinato gli scioperi susseguitisi durante la stagione estiva di Caracalla che portarono all’esecuzione di spettacoli d’opera con il solo accompagnamento del pianoforte); solo qualche settimana prima, proprio in Giappone, il Maestro aveva definito quella del Teatro dell’Opera di Roma la “migliore orchestra verdiana del mondo”. Nulla, quindi, lasciava presagire un subitaneo abbandono della scena romana. La fuoriuscita di Muti apparve inaspettata e per certi aspetti immotivata, ed il riferimento al presunto cambiamento di clima (che era stazionario da sempre…) contenuto nella lettera di congedo non spiegava una scelta di questo tipo.
Ipotizzammo, allora, uno scenario diverso e, per certi versi, comprensibile: al fine di garantire la tutela dell’immagine del Maestro, che sarebbe risultata danneggiata dall’ "evaporazione” dell’istituzione musicale di cui era “direttore onorario a vita”, probabilmente gli era stato comunicato, seppure in maniera tardiva, il prossimo, successivo licenziamento di tutta l’orchestra e di tutto il coro, cosa che lo avrebbe potuto indirizzare verso la stesura di quella lettera, stilata su carta intestata dell’Orchestra di Chicago, nella quale si congedava dal Teatro romano.
Comprendiamo la necessità di gettare acqua sul fuoco che ardeva nella capitale, peraltro ormai definitivamente spento, ma ci appare chiara anche la volontà di limitare ad un semplice episodio (la tournée giapponese) la causa dell’interruzione di un rapporto che essendo stato definito “a vita”, potrebbe improvvisamente rinsaldarsi.
Poi il maestro Muti ha parlato del proprio orgoglio nell’appartenenza alla cultura del meridione d’Italia, ha risposto a domande sul Teatro San Carlo, del peso culturale di questa istituzione, dei lavori di ristrutturazione che lo hanno interessato alcuni anni orsono e che ancora sono oggetto di polemiche per il vero o presunto cambiamento dell’acustica. Ha poi detto che tornerebbe a dirigere nel glorioso Teatro napoletano ed ha parlato dei giovani musicisti italiani che, pur essendo spesso molto qualificati, non hanno spazi lavorativi.
Ha fatto, poi, un accenno importante all’attuale corsa alla sovrintendenza di quella fondazione, dove è stata messa in atto una procedura di cosiddetta “manifestazione d’interesse” per il reclutamento del nuovo sovrintendente, basata sull’invio dei curricula degli “interessati”, cui hanno partecipato alcune decine di persone in alcuni casi altamente qualificate, ma ha definito i partecipanti a tale procedura come una serie di “signor nessuno”, sostenendo che “ci sono tutte le condizioni per convergere su un nome internazionale” (sic!).
Purtroppo questa non l’abbiamo capita: da una parte si auspica una tutela dei musicisti italiani e della storia, dell’identità, della cultura nazionali, da un’altra gli italiani candidati vengono definiti “signor nessuno”, suggerendo per il Teatro San Carlo di Napoli un sovrintendente “internazionale”! Come mai, Maestro, tra i tanti concorrenti italiani qualificati, nessuno sarebbe in grado di guidare quel Teatro? Ed i buoni propositi di tutela della nostra cultura dove sono finiti? Da Lei non ce lo saremmo aspettato…
Fonte: www.lindro.it
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