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di Carlo Delfrati
da ScuolAmadeus di Dicembre 2005
Émile Jaques-Dalcroze (1865-1950) è uno dei padri della didattica musicale del Novecento. I suoi principi e la sua metodologia appaiono ancora rivoluzionari davanti a certi modi aridi e controproducenti di insegnare musica oggi. Cent'anni fa un musicista torinese, Luigi Ernesto Ferraria, se ne fece intelligente e solerte paladino anche in Italia, appoggiato da illuminati musicisti, come il compositore Giacomo Orefice. Vale la pena ricordare qui una storia che ho già raccontato altrove. Nel 1903 Ferraria fondò prima una scuola dalcroziana nella città natale, poi una seconda a Milano agli inizi degli anni Venti. Ne parlò sulle principali riviste musicali, e promosse nel 1925 la traduzione della prima raccolta di saggi dalcroziani apparsa a Ginevra sei anni prima: Ritmo, musica ed educazione.
Il risultato più cospicuo lo raggiunse nel 1920: l'apertura di una scuola di ritmica dalcroziana nel Conservatorio G. Verdi di Milano, diretto allora da Giuseppe Gallignani. La Commissione permanente d'Arte musicale (fra cui M.E. Bossi, G. Gallignani, L. Mancinelli, A. Toscanini), nel valutare la richiesta di Ferraria, era andata ancora più in là, auspicando l'istituzione di "un corso di Ginnastica ritmica" nei tre principali istituti di musica governativi (Roma, Milano e Napoli) .
Non fece però i conti con l'establishment didattico-musicale del tempo. Che si sentì punto sul vivo delle sue convinzioni e delle sue pratiche didattiche. Ferraria non era un compositore famoso, come il Kodàly che riorganizzerà secondo i propri principi la scuola ungherese del dopoguerra. Ferraria appariva ai più come un importatore di dottrine eretiche, uno scomodo, fastidioso provocatore, pericoloso per i curricoli consacrati.
Di lì a poco viene la marcia su Roma, il Ministero Gentile con la sua Commissione Bernardi per l'educazione musicale nella scuola, il Ministero Fedele con la sua Commissione per la riforma dei conservatori. In nessuna delle due troviamo il nome di Ferraria. Erano morti i più ferventi sostenitori di Ferraria: nel 1923, suicida, Gallignani; l'anno prima Orefice. L'aria che si respirava cominciava a farsi propizia a un'esemplare spedizione punitiva. Se ne incaricò Ildebrando Pizzetti, appena fu nominato direttore del Conservatorio di Milano. La scuola di Ferraria venne soppressa senza troppe cerimonie. Anche della privata scuola milanese si perdono le tracce. Il 1925 delle prime "leggi speciali" e del Manifesto degli intellettuali del Fascismo (firmatari per la musica: Alfano, Barilli, Marinuzzi, Pizzetti), non era anno adatto alle contestazioni, nemmeno nel praticello della formazione ritmica del musicista.
Fu già molto che la Rivista Musicale Italiana ospitasse l'appassionata lettera aperta con cui Ferraria denunciava la prevaricazione. Per il resto, l'ufficialità conservatoriale si rimise sull'attenti intorno al suo direttore, in ritrovata unanime fede nei sacri destini del setticlavio. Ferraria si spegnerà pochi anni dopo, nel 1933. Fino all'ultimo aveva continuato, voce solitaria in un deserto sempre più sordo, a sfidare l'arroganza del potere, con lo scritto illuminato e con l'esempio operoso.
In clima di riabilitazioni storiche, suona come un risarcimento, sia pur tardivo, il ritorno di Dalcroze in Conservatorio. Non più quello di Milano, ma quello di Latina, la cui Scuola di Didattica della Musica organizza un corso apposito, di durata biennale, tenuto da due docenti specializzate nel metodo di Dalcroze, Louisa Di Segni-Jaffé e Sabine Oetterli. Con l'augurio che il mondo accademico sappia, questa volta, apprezzarne i meriti.
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