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Meriti professionali: un tabù?


di Carlo Delfrati
da 'ScuolAmadeus' di settembre 2004

N.N. insegna Teoria e solfeggio nel Conservatorio di ***. Apprezzato e amato dai suoi studenti. Per ognuno di loro ha preparato un percorso individualizzato di studi, in funzione delle sue (dello studente) risorse e inclinazioni. Non si limita a spiegare il pentagramma, che pure propone ricorrendo a una varietà di pratiche anche divertenti. Oltre a insegnare a leggere fa cantare a più voci; fa portare gli strumenti per rendere viva la lettura e così gustare fin dai primi incontri con la grammatica musicale il fascino della musica d'insieme; fa inventare musica con gli elementi di teoria e di scrittura che via via gli alunni stanno imparando; fa ascoltare commentandoli i brani d'autore da cui sono tratti i frammenti da leggere: perché non si ferma alla declamazione di aridi esercizi ma riempie le sue ore di esperienze musicali vive. Naturalmente tutto ciò gli costa molto: non solo si prepara a casa con cura ogni singola lezione, ma segue gli alunni anche al di fuori dell'orario di cattedra, anche prima dell'inizio ufficiale delle lezioni, anche dopo il termine; cerca, nelle ore libere, la collaborazione dei colleghi di strumento; partecipa ai gruppi di lavoro del suo istituto; si tiene aggiornato sulle innovazioni metodologiche riguardanti il solfeggio, compra libri e partiture, è abbonato a riviste professionali, comprese un paio in lingua inglese; partecipa a convegni di studio...

Ahimè, non sono tutti così gli insegnanti. Entriamo nell'aula accanto, dove insegna il suo esatto rovescio. Non è facile trovarlo in classe, è più facile incontrarlo nell'accogliente bar dell'istituto: sempre che, come gli capita spesso, non sia "entrato in malattia" (no, per carità, non che abbia guai seri di salute, anche al telefono quando gli chiedi come sta ti tranquillizza: non è "malato", si è solo preso quindici giorni "di malattia": che è una cosa ben diversa). Le prime lezioni rimanda a casa gli alunni: aspettiamo che la classe sia completa e l'orario definitivo. Quando questo brutto momento è giunto, fa leggere dalla prima pagina il manuale: lo stesso manuale dove studiò egli medesimo da piccolo, e sul quale si erano "formate" le generazioni precedenti, ancora prima che l'Italia fosse un solo regno. "Imparate la lezione a memoria per la volta prossima, insieme ai solfeggi parlati dal n. 1 al n. 10". Cantare, inventare, ascoltare? Perdite di tempo. Aggiornarsi, documentarsi, partecipare? Fatiche da intellettuali oziosi. Comperare libri, partiture, riviste? E come mi pago il cappuccino delle 10, l'aperitivo delle 12 e il bacardi serale? Seguire gli alunni fuori delle trecento ore annuali di lezione? Per favore, non scherziamo...

Due casi limite, da mettere sicuramente ai due estremi della forbice professionale. Ma non chimerici. In mezzo, tutta la gamma delle possibilità, dal docente più coscienzioso al più disinvolto. Entrambi nello stesso luogo e funzione. Entrambi nella stessa squadra. Entrambi alle stesse identiche condizioni di lavoro, lo stesso identico stipendio. In un campo di calcio farebbe ridere vedere giocare insieme Figo e il sagrestano dell'oratorio di Santa Cleopatra. E per quanto ci si possa scandalizzare per lo stipendio di Figo, saremo tutti d'accordo che il sagrestano deve accontentarsi di guadagnare meno. Nelle nostre scuole no, non fa ridere, e nemmeno piangere, come invece dovrebbe. Evidentemente c'è qualcosa che fa acqua a monte: nel sistema di reclutamento e di mantenimento in servizio del personale docente.

Metterci una pezza? Ministri delle due sponde ci hanno provato. Anni fa fu Luigi Berlinguer a immaginare stipendi diversi in funzione del merito. Bastò che ne accennasse per vedersi costretto a dimettersi da ministro. Più recentemente Letizia Moratti ha proposto di introdurre anche da noi, almeno nella docenza universitaria, pratiche diffuse oltreoceano, come legare benefici economici anche al giudizio che lo studente dà del suo docente. Puntualità, preparazione, attenzione ai bisogni dello studente, efficacia metodologica, chiarezza espositiva, qualità dei materiali, dei sussidi, dei testi adoperati: sono solo alcune delle virtù su cui il docente verrebbe sottoposto a giudizio. Sarà mai percorribile una strada del genere nelle nostre Università? O nei nostri Conservatori? Sarà mai trasferibile, con gli opportuni adattamenti, alle scuole che precedono il grado accademico? O basterà che l'idea del Ministro si faccia più concreta perché si veda congedato da Trastevere? Cosa ne pensano, insegnanti, studenti, famiglie? Il dibattito è aperto.

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