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di Giuseppe Pepicelli
da "ScuolAmadeus" di febbraio 2001
Bernstein e Menuhin utilizzavano il metodo Feldenkreis, indicato per evitare posizioni sbagliate ma di grande aiuto anche per il fluire dell'espressione. Scuole e Conservatori potrebbero gradualmente inserire questo genere di tecniche nella formazione del musicista? Ecco di cosa si tratta
Cos’hanno in comune la musica, il teatro e la danza? Quando un prodotto è finito, a differenza delle arti figurative, deve essere ogni volta riprodotto o meglio ricreato su un palcoscenico di fronte a un pubblico. Così l’artista del palcoscenico dapprima deve imparare a suonare, recitare o danzare qualcosa in modo che, almeno una volta per una qualche fortunata combinazione, la performance riesca; oltre a questo, egli deve poi essere in grado di riprodurla ogni volta che si trova in pubblico. Queste performance hanno sempre come mezzo fondamentale il movimento. Ci si muove per parlare e gesticolare, per ballare, e per produrre suoni su uno strumento. Perché una performance musicale si realizzi, è necessaria la presenza di uno strumento musicale, della musica che da esso scaturisce, e del musicista che suona.
Ora, paradossalmente, i percorsi di studio generalmente adottati nelle nostre scuole, mentre riservano una grande attenzione alla conoscenza della musica e delle caratteristiche degli strumenti, spesso trascurano la necessità di conoscere se stessi nell’atto di suonare. Si potrebbe quasi dire che è necessario imparare a utilizzare il proprio corpo almeno quanto è necessario conoscere la musica e il proprio strumento. Ma nei programmi di Conservatorio non sono previste materie di base che portino l’attenzione dello studente su se stesso e sulle proprie modalità di funzionamento nel movimento e nel respiro. Certo nelle lezioni di strumento è necessario studiare i movimenti da compiere per riuscire gradualmente a realizzare la propria intenzione musicale. Spesso però l’attenzione si limita a ciò che avviene nei punti di contatto tra l’esecutore e lo strumento, e solo in quelli necessari alla produzione del suono (dita o anche bocca nel caso degli strumenti a fiato); a volte i più fortunati ricevono qualche suggerimento che prenda in considerazione anche le braccia. Capita così che, secondo lo strumento che si suona, ci si impegni per anni a esercitarsi dimenticando di avere le spalle, la colonna vertebrale, il bacino, i piedi, o anche gli occhi, o il fatto che per suonare è necessario lasciare che il respiro si adatti a ciò che stiamo facendo. Spesso siamo così attratti dagli aspetti più evidenti della tecnica strumentale (anche per via della loro complessità), che dimentichiamo di essere tutti interi:
"Per qualsiasi uso delle dita delle mani, sia esso suonare il pianoforte, contare banconote o scrivere, dobbiamo disporre tutto lo scheletro e ogni muscolo al pianoforte, allo sportello della banca o alla scrivania. I movimenti delicati hanno bisogno di polsi e dita delle mani, caviglie e dita dei piedi, ma l’intera muscolatura è coinvolta nel portare le estremità più sottili al luogo in cui eseguono la loro funzione. Spalle e fianchi sono necessari laddove c’è bisogno di maggiore forza, e hanno il compito di portare il corpo dove sono necessari i movimenti delicati delle dita." (Moshe Feldenkrais, Le basi del Metodo, pag.140)
Le tecniche di movimento
Nelle scuole di teatro e di danza è necessario un lungo training di base sul movimento. Addirittura alcuni storici del teatro sostengono che le novità più interessanti nelle scuole di teatro del ’900 sono spesso nate attraverso un lavoro di esplorazione che metteva il movimento alla base della ricerca dell’attore (cfr. Stanislawski, Grotowski,etc.). Le scuole di musica, da questo punto di vista sono in notevole ritardo. Ma anche in accademie musicali e in alcuni conservatori cominciano ad affacciarsi, accanto alle lezioni fondamentali, corsi che propongono lavori di base sul movimento, la consapevolezza corporea, il respiro, la concentrazione, l’uso della voce. Tra questi i più frequentemente proposti sono l’Eutonia di Gerda Alexander, il Training Autogeno, la Tecnica Alexander e il Metodo Feldenkrais.
Il Metodo Feldenkrais si occupa di come un essere umano impara a fare ciò che fa. Non è rivolto direttamente o esclusivamente ai musicisti, ma propone percorsi che ai musicisti possono offrire stimoli e risorse non comuni. Non è facile spiegarlo in poche parole in quanto è fondato sull’esperienza sensoriale e motoria di ognuno di noi. Per suonare un passaggio virtuosistico è indispensabile che uno strumentista riesca a distinguere quali sono i movimenti necessari e quelli superflui, in modo da poter attivare volontariamente i primi disattivando i secondi, fino al punto in cui il gesto complessivo diventa automaticamente coordinato. Per arrivare a questo c’è bisogno di sviluppare gradualmente una sensibilità sempre più sottile, una capacità di guardare in modo sempre nuovo alle stesse cose.
Ad esempio, prendete una penna o una matita e tenetela in modo da avere il pollice da un lato e le altre quattro dita dall’altro, in opposizione. Sentite quanta forza state impiegando per impedire che la penna cada. Sono appoggiate tutte e cinque le dita? Alcune fanno più pressione di altre? Giocate per un po’ in modo da aumentare e diminuire la pressione che ogni dito fa fino a che non riuscite a scoprire quale è la minima attività delle dita che vi consente di non far cadere la penna. Se provate ad alleggerire ancora un po’, la penna cade? A volte crediamo di utilizzare la minima pressione ma dopo un po’ scopriamo che avremmo potuto fare ancora meno. Lasciate cadere la penna e riprendetela fino a che siete sicuri che lo sforzo che fate sia davvero il minimo indispensabile per tenerla su e sia anche ben distribuito fra tutte le dita.
Ora con la penna in mano, sdraiatevi sul pavimento su una coperta o tappetino che sia abbastanza morbido da non sentire fastidio ma abbastanza duro da darvi un buon sostegno. Evitate di farlo sul letto. Piegate le ginocchia e appoggiate le piante dei piedi a terra. Mettetevi comodi e lasciate che il vostro respiro si acquieti. Riprovate lo stesso esercizio di prima con il braccio e il polso appoggiati per terra o sulla pancia. Regolate il minimo sforzo che le dita devono fare per impedire che la penna cada giù. È lo stesso che facevate quando eravate seduti? O potete sentire più chiaramente il contatto di ciascun dito con la penna? Quando avete provato a sufficienza tornate seduti e sentite se anche da seduti potete accorgervi che la facilità è aumentata e che le dita possono essere così leggere da sembrar quasi che non facciano nulla, eppure la penna non cade. Lasciate la penna sul tavolo, abbandonate le braccia lungo il corpo e sentite se il modo in cui percepite la vostra mano destra è per qualche aspetto decisamente diverso da quello della mano sinistra. Le dita di una mano sono più distese di quelle dell’altra? Se immaginate un piccolo movimento con le dita, la destra risponde con più prontezza rispetto alla sinistra? Come può essere successo tutto ciò?
L’esperienza senso-motoria
L’esperienza senso-motoria è la risorsa primaria attraverso la quale conosciamo il mondo, sia esso un pavimento su cui ci rotoliamo, una penna che solleviamo, o uno strumento sul quale produciamo un suono. Il feed-back sensoriale che percepiamo nell’esperienza del movimento o come conseguenza della nostra azione ci rende capaci di ripetere quell’esperienza immaginando, prevedendo e controllando con una certa approssimazione l’effetto di essa. Abbiamo a che fare con questa facoltà del nostro cervello per la maggior parte del tempo in cui siamo svegli. Se la utilizziamo per molte ore al giorno a contatto con uno strumento musicale probabilmente diventeremo capaci di esprimerci attraverso esso come siamo capaci di fare con la nostra voce o le nostre espressioni facciali.
Quando nelle nostre scuole di musica agli studenti sarà offerta la possibilità di supportare l’impegnativa pratica quotidiana con lezioni di consapevolezza senso-motoria? Oltre a far crescere il loro potenziale e migliorare la flessibilità e la coordinazione, si potrebbero in tal modo prevenire quelle malattie professionali (mal di schiena, tendiniti, dolori articolari o muscolari etc.) che a volte si affacciano maledettamente proprio nei momenti in cui ci si immerge nello studio in vista di impegni importanti come concerti, esami o concorsi. Ma la conseguenza forse più importante sarebbe quella di riappropriarsi della capacità di partecipare completamente, tutti interi, al proprio suonare, diventando una cosa sola con il proprio strumento e la propria musicalità.
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