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di Rosa Maria Sarri
Il tempo passa, passano le parole e le definizioni ingabbiano la possibilità
di mutamenti, ma noi proviamo lo stesso a citare la nostra. “La musicoterapia
è un processo sistematico e dinamico dove il terapeuta aiuta le persone
a migliorare la loro qualità della vita. Questo aiuto nasce essenzialmente
dalla creazione e dalla conservazione della relazione terapeuta-persona e dalla
natura intrinseca dell’esperienza con la musica” (K. Bruscia, “Definire
la musicoterapia”).
Nonostante questa sia una delle migliori definizioni di musicoterapia, almeno
a mio parere, tentare di racchiudere questa disciplina in poche righe è
un’impresa monumentale, essenzialmente perché esistono molte musicoterapie,
essendoci molti capiscuola. Tuttavia, alla base di ognuna di esse, c’è
il fatto sonoro e la relazione: il primo non è fine a sé stesso
ma il mezzo per il raggiungimento di un fine; la seconda è il fattore
determinante perché tutto questo non sia sterile.
Con la pratica strumentale, vocale, l’ascolto ed altre esperienze, forze
dinamiche di cambiamento, ci si prende cura dell’altro, si conosce, si
raggiungono insieme degli obiettivi per migliorare, mantenere o recuperare la
qualità della vita. Ad accompagnare le varie metodologie e tecniche ci
sono procedure di accertamento, trattamento e valutazione.
Dopotutto molti studiosi si sono accorti di come la maggior parte delle cure
umane, verso gli altri e verso sé stessi, includevano la musica. Dalle
prime tradizioni arabo-ebraiche al “tarantismo” del salento italiano,
in un presente relativamente più recente. Gli oramai ben noti effetti
psichici, fisici e sociali del suono dopotutto erano già conosciuti dalla
più remota antichità. La messa in contatto di diversi individui
fra loro, di ognuno con sé stesso, con il proprio mondo interiore e con
la vita, sono solo alcuni dei più macroscopici. Ad esempio tutte le terapie
che usano un mediatore espressivo-artistico si prestano bene a controllare la
globalità della psicosi e della regressione indotta ed a lavorare all’interno
di una non-relazione, per costruire le premesse di una futura relazione. Si
ha la possibilità di entrare nel mondo patologicamente regressivo della
psicosi, fatto di continuità, di assenza di tempo, di emozionalità
senza limiti e senza significati, nonché di frammentazioni senza nesso
e senza costrutto per indurre delle interruzioni. Interruzioni che fanno notare
l’esistenza del fuori per dilatare lo spazio interno della persona.
D’altronde il suono ci avvolge, ci stimola multisensorialmente e sinestesicamente,
amplifica le nostre emozioni e sensazioni costringendoci a fare delle scelte,
con la responsabilità e la presa di parte che ne consegue; non ci tiene
fermi ed incistati nelle nostre posizioni ma ci spinge a dei cambiamenti. È
in questo del tutto simile agli affetti poiché anch’essi seguono
lo stesso destino.
Fra l’altro l’espressione con linguaggi alternativi dà sempre
l’occasione di creare un pensiero divergente, sollecitare la creatività,
cosa di cui deve essere abbondantemente dotato il terapista.
Anche il fattore estetico è rilevante: la creazione di “qualcosa”
nel quale la persona si identifica, “qualcosa” definito esteticamente
rilevante, piano piano ristabilisce o dona del tutto la fiducia in sé
stessi persa o mai avuta.
Inoltre l’utilizzo del suono in questa disciplina rende la relazione terapeuta-persona
invasiva il meno possibile. Dalla radice greca della parola “therapeia”,
che significa “assistere”, “aiutare”, “prendersi cura”,
molto si comprende di questa natura e di quanto possa essere linkata ad una
definizione molto allargata di “musica”: l’arte dell’organizzazione
temporale dei suoni e delle sue varie componenti fisiche ed esperienziali, allo
scopo di creare ed interpretare forme espressive che rinforzino, elaborino,
diano significato all’esperienza della vita umana, ha nella musicoterapia
il suo concetto più ampio.
Questa caratteristica della disciplina le viene anche dal fatto che come corpo
di conoscenza essa è multidisciplinare. È ad un tempo arte, scienza
e processo interpersonale, divisa in tre grandi aree di pratica: terapeutica,
riabilitativa e preventiva. All’interno di esse si aprono ulteriori suddivisioni
con altre sottocategorie, come la pratica educativa, ricreativa ed educativa,
per esempio.
Scopi, metodologie e tecniche di trattamento variano da persona a persona, da
gruppo a gruppo, da “caposcuola” a “caposcuola”. Tempo fa
sono stati stabiliti 5 modelli di riferimento: il comportamentista, Nordoff-Robbins,
R. Benenzon, M. Priestley ed il modello G.I.M. (immaginario guidato e musica)
di H. Bonny. Niente ci obbliga a dover seguire pedissequamente uno o più
di questi. Sono invece sicuramente delle ottime guide verso la creazione di
uno stile ed un percorso del tutto personali.
Per sintetizzare il percorso terapeutico parleremo di una prima fase di osservazione
od accertamento, dove si inizia a conoscere la persona ed a creare una relazione
per stabilire efficaci piani di cura. Si delineano poi degli obiettivi da raggiungere,
tenendo conto anche delle informazioni sociali, familiari, storiche e mediche
riguardanti la persona stessa. È molto utile conoscere il passato musicale
degli utenti: canti conosciuti sono spesso legati a momenti importanti che è
utile ricordare, per esempio.
In base alle notizie ottenute il terapista elaborerà un’anamnesi
iniziale ed un percorso da attuare partendo dalle esigenze e dalle potenzialità
di chi ha davanti, basandosi sulle sue “parti sane” e partendo appunto
da queste.
Al centro di ogni seduta c’è il percorso musicale, un’esperienza
sonora di qualche tipo (ciò che diversifica la musicoterapia da qualsiasi
altra forma di “presa in carico” è la fiducia nella musica).
Le principali tecniche musicali utilizzate sono l’improvvisazione, la produzione,
la composizione e l’ascolto, ognuna delle quali può coinvolgere
anche il linguaggio verbale, il disegno, la pittura, la manipolazione di vari
materiali, il movimento espressivo, la danza, il gioco, la drammatizzazione
e molto altro ancora.
In quegli incontri che prevedono l’improvvisazione la persona crea, in
maniera estemporanea, musica, in “un assolo”, in duo col terapeuta
oppure in gruppo. Il terapeuta, in pratica, aiuta la persona ad improvvisare
in vari modi. L’uso della voce e degli strumenti musicali molto semplici,
in una pratica di improvvisazione, permettono alla persona di esprimersi liberamente,
aumentano la coscienza di sé e degli altri, favoriscono l’integrazione,
la comunicazione e possono fornire delle strutture regolari in cui contenere
la persona. La pratica musicale attiva e scarica energia, si trasmette a più
sensi corporei tanto da produrre appagamento.
Per quanto riguarda gli incontri con la composizione, il terapeuta aiuta la
persona a scrivere canzoni oppure a creare qualsiasi tipo di prodotto musicale.
Infine per ciò che concerne le sedute che prevedono l’ascolto la
persona recepisce e reagisce alla musica dal vivo o registrata. La risposta
può essere trasmessa tramite: rilassamento, disegno, movimento strutturato
o libero, etc… L’ascolto di musica dal vivo o registrata (presa da
qualsiasi repertorio) aiuta la relazione, il contatto, la concentrazione, l’attenzione
ed una ricerca interiore; può favorire il rilassamento e la calma.
Si ricordi che le capacità musicali della persona non sono assolutamente
influenti. Ciò che conta è l’accoglienza, sia di chi abbiamo
davanti che di ciò che genera sonoramente.
Le sedute musicoterapiche possono includere anche verbalizzazioni. Queste discussioni
possono essere parte o conseguenti all’esperienza musicale in corso oppure
possono concentrarsi su temi base della terapia stessa.
Molto importante è la valutazione, dove il terapeuta verifica i progressi
(o regressi) che sta facendo la persona in conseguenza al cammino intrapreso.
I dati dell’accertamento forniscono spesso valide linee guida e indubbi
criteri di valutazione. Anche per questo si formano dei data base fatti di immagini,
audio, trascrizioni su pentagramma e protocolli di osservazione, elementi gestibili
dal musicoterapista stesso o consultabili laddove ci sia una équipe di
lavoro.
La ricerca qualitativa e quantitativa all’interno della disciplina stessa,
benchè oramai consolidata da tempo, cerca sempre nuovi paradigmi e fonti
da verificare e modificare.
Dovendo trarre, al termine, delle conclusioni possiamo dire che per essere considerata
terapia, la musicoterapia (e mi si perdoni il gioco di parole), deve essere:
1) un intervento; 2) fatto da un terapeuta; 3) che induca cambiamenti terapeutici
nella persona; 4) che si possano collegare, causalmente, agli sforzi del terapeuta
stesso.
Per citare un libro di recente pubblicazione per nostro vantaggio e come frase
conclusiva (“Musicoterapia in Europa”, a cura di D. Aldridge, G. di
Franco, E. Ruud, T. Wigram): “l’effetto terapeutico della musica nel
trattamento medio è quasi una deviazione standard in più rispetto
alla condizione senza musica”.
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