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NAVIGARE NELLA TURBOLENZA


di Carlo Delfrati
da "ScuolAmadeus" di settembre 2000

Rubo il titolo al bel libro di due economisti americani, Erwin e Christopher Laszlo. Le trasformazioni burrascose non colpiscono solo il mondo dell’impresa. Coinvolgono inevitabilmente la scuola. E dentro la scuola, l’educazione musicale. Parlamento e governo hanno legiferato e messo in cantiere negli ultimi anni, addirittura negli ultimi mesi, progetti cruciali di riforma. Sono destinati a cambiare profondamente l’assetto della scuola.

La nuova legge che regolamenta alla base la vita musicale è del 2 dicembre 1999, e riguarda i Conservatori. ScuolAmadeus se n’è occupata in vari numeri passati. Nei termini previsti è stato ora impiantato il Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale (CNAM), che assisterà il governo nel riprogrammare l’intera istruzione musicale. Le decisioni da prendere sono nevralgiche: fissare i requisiti, didattici, amministrativi e logistici, in base ai quali gli attuali Conservatori possano trasformarsi nei previsti Istituti Superiori di Studi Musicali; le procedure di reclutamento dei docenti; le possibili convenzioni con altri istituti; i confini entro i quali esercitare l’autonomia (quella sull’autonomia delle scuole è un’altra importante recente normativa); l’insieme dei criteri in base ai quali dovranno essere reinventati i piani di studio e la loro organizzazione.

I Conservatori sono dunque destinati a diventare istituzioni di livello universitario, alle quali si accede con un diploma di secondaria superiore, quindi dopo i 18 anni d’età. Che succederà ai minori? Oggi studiano in Conservatorio anche bambini piccoli, in tutti i Conservatori è attiva una scuola media, in cinque anche un liceo. Che ne sarà di loro? Spariranno. Non subito: la legge prevede una fase transitoria, in cui i Conservatori possono "attivare corsi di formazione musicale di base, disciplinati in modo da consentirne la frequenza agli alunni iscritti alla scuola media e alla scuola secondaria superiore": ciò "fino all’entrata in vigore di specifiche norme di riordino del settore". Dunque un punto aperto, sul quale torneranno a dar battaglia quanti hanno sempre difeso la compresenza nell’istituto di tutte le fasce scolari, dall’elementare in su. D’altra parte se le fasce inferiori escono dal Conservatorio, esce più dell’80% degli studenti. Coerentemente, dovrebbe uscire dal sistema della fascia superiore l’80% degli insegnamenti o addirittura degli istituti. Quali? In controtendenza, la stessa legge prevede che anche gli attuali Istituti musicali pareggiati possano essere statizzati (diventare Conservatori ergo Istituti superiori?).

Due riforme in contraddizione

Dove si debba studiare musica nelle fasce inferiori i sostenitori della riforma hanno le idee chiare: nelle Scuole medie a indirizzo musicale e nei Licei musicali. Quale Conservatorio, quale docente accetterà di riciclarsi in una Scuola media o in un Liceo musicale? Il Liceo musicale è previsto dalla legge sul riordino dei cicli scolastici. Le Scuole medie musicali sono state istituzionalizzate con un’altra recente legge. E qui scopriamo una contraddizione non da poco: la riforma dei cicli in realtà "cancella" la Scuola media, come cancella la Scuola elementare, sostituendole con un unico "ciclo primario" di sette anni, contro gli otto attuali. Invece le due leggi considerate continuano a pensarle ancora vive e distinte. Il pasticcio nasce dalla difficoltà che da sempre incontra il nostro sistema dell’istruzione (purtroppo non solo quello) di congegnare una strategia globale e unitaria, e dalla conseguente, contraddittoria frammentazione delle decisioni legislative. E’ normale nel nostro sistema-scuola che commissioni diverse operino ignorandosi a vicenda su settori che invece dipendono l’uno dall’altro.

La contraddizione pesa anche su un terzo ambito legislativo: quello che ha portato al varo delle iniziative per la formazione dei docenti. Riassumiamo anche questo delicato punto. La prima legge rivoluzionaria risale al1990, quando finalmente si decise che per accedere all’insegnamento occorresse dimostrare di saper insegnare. Venivano così istituiti due corsi nuovi: un quadriennio universitario per gli aspiranti all’insegnamento elementare (Corso di laurea in scienze della formazione primaria), un biennio di specializzazione post-laurea (o post-diploma conservatoriale, per la musica) per chi insegnerà nella scuola media, inferiore e superiore (Scuola di specializzazione all’insegnamento secondario, o SSIS). Ci vogliono ben otto anni perché parta il primo (nell’anno accademico 1998-99); nove per la seconda (nel 1999-2000). Partono, come iniziative del tutto scollegate, ma nel frattempo Scuola elementare e media stanno per confluire in un unico ciclo: che senso avrà più lo sdoppiamento degli istituti di formazione?

Nuove turbolenze stanno scatenandosi in particolare sulle Scuole di specializzazione, o SSIS. I loro ideatori tenevano fermo un punto irrinunciabile: i corsi vanno gestiti in un luogo apposito, che si preoccupi soprattutto di consegnare agli studenti competenze didattiche. Il rischio era che i geografi, per fare un esempio, riducessero la SSIS a un pacchetto di nozioni da aggiungere a quelle già consegnate al laureato nel corso del suo quadriennio di studi. No: anche se può risultare necessario colmare le lacune più vistose lasciate dalla formazione precedente, quello che deve fare una SSIS è proprio insegnare a insegnare. Allora come la mettiamo con le facoltà di Scienze dell’educazione, pur presenti e attive da tempo nelle Università con una schiera di agguerriti pedagogisti? Lampi di procella brillano nel cielo del Ministro dell’Università, che deve affrontare la loro rivendicazione. Con una variabile foriera di nuove turbolenze: un’altra recente legge ha creato due livelli di studio universitario, il cosiddetto tre-più-due, con un titolo di primo livello, dopo tre anni; e uno di secondo livello, dopo altri due. Perché non ricondurre le SSIS entro il secondo livello (quindi entro Scienze dell’educazione)? Non se ne parla, replicano i sostenitori delle attuali SSIS, vanno affidate al livello numero tre, quello in cui troverà nuova vita il dottorato di ricerca.

Come si diventa insegnanti

I primi ad essere allarmati da tante controversie sono gli studenti, naturalmente: che non capiscono che specie di scuola stiano frequentando; in soldoni a cosa gli servirà il titolo acquistato nell’uno o nell’altro dei due istituti (Corso di laurea, Scuola di specializzazione). A intorbidare le acque ci si mettono anche le norme per l’accesso all’insegnamento. Si continuerà ad arrivarci solo dopo un concorso (sempre ammesso che i concorsi si facciano, e che non si continui col sistema maramaldo di eluderli e di immettere ope legis nei ruoli chiunque, purché sia passato dalla gavetta del precariato…): ma, ecco la sorpresa, nei prossimi anni qualunque laureato (o diplomato di Conservatorio) potrà accedervi, non solo chi ha frequentato gli appositi corsi di formazione. E allora, si chiedono giustamente gli studenti, a che pro frequentarli? Studenti, docenti e responsabili delle SSIS stanno conducendo una rivendicazione coerente con la legge fondamentale del 1990. Al Ministero chiedono una maggior fermezza, un impegno per resistere agli assalti corporativi: l’insegnamento deve essere permesso solo a chi sia stato espressamente formato a insegnare.

In musica la situazione si fa particolare, e paradossale. Perché qui i corsi specializzati per la formazione all’insegnamento esistevano già, ed esistono tuttora: sono le Scuole di didattica musicale attive in gran parte dei Conservatori italiani. Il principio di affidare le SSIS a un "luogo neutro" (non alle Facoltà universitari esistenti, dunque nemmeno ai Conservatori) era dettato – come più volte ricordava Giunio Luzzatto, il "padre" delle SSIS - dall’opportunità di non creare con la musica un’eccezione nel sistema, una pericolosa breccia nella quali altre discipline avrebbero potuto insinuarsi. Qui però l’eccezione era nei fatti: la musica è l’unica disciplina del sistema italiano per la quale era già prevista una scuola di specializzazione post-titolo, finalizzata alla formazione dell’insegnante, di durata anche superiore a quella prevista dalla SSIS: triennale fino al 1992, quadriennale dopo quella data. Ebbene il minimo che ci si potesse aspettare da una norma applicativa è che il diploma di didattica fosse almeno equiparato al titolo rilasciato dalle SSIS. Questo non è ancora avvenuto; ma è la rivendicazione sacrosanta alla quale le Scuole di didattica della musica non possono rinunciare. I loro docenti sono all’opera per rivederne profondamente il piano degli studi.

La battaglia continua

Come e dove insegneranno gli specializzandi delle SSIS e, c’è da augurarsi, i diplomati di Didattica? La difficoltà di rispondere ci scaraventa nel buco nero in agguato dietro le riforme in corso: che fine farà l’educazione musicale nella scuola dell’obbligo? Una volta sistemata l’educazione specialistica, con la sequenza scuole medie musicali ð licei musicali ð istituti superiori, che succederà al diritto di ogni cittadino di essere educato musicalmente, al dovere della collettività di dotare ciascuno di strumenti di partecipazione a questa dimensione essenziale della comunicazione contemporanea che è la musica? Scompare la scuola elementare, dove un programma di educazione al suono e alla musica esiste ma quasi nessuno lo applica per dichiarata incompetenza. Così come è congegnato l’apposito Corso di laurea in scienze della formazione primaria, non si vede come il futuro laureato possa essere in grado di educare musicalmente i suoi bambini. La riforma dei cicli sarà capace di trascinare in una bonaccia risanatrice anche questa caravella malandata? Ma scompare anche la scuola media, dove esiste pure un programma, ed esiste l’insegnante in grado di svolgerlo (sia pur nei limiti stessi dovuti a una mancata preparazione didattica, proprio come avviene a qualunque laureato con l’insegnamento della sua disciplina). Potremo immaginare che con la riforma dei cicli l’intero settennio sia coperto da un consistente insegnamento musicale, affidato a qualcuno che la musica la sappia? O qualche strano marchingegno di orari e di ridistribuzione degli incarichi porterà a mortificare anche quell’educazione musicale che pure ha spazio nella ancora attuale scuola media?

E nelle superiori? Il primo biennio è obbligatorio. Assisteremo a un biennio muto, privo di musica? Trasformato l’Istituto magistrale in Liceo socio-pedagogico, una "dimenticanza" sta colando a picco l’insegnamento strumentale che vi esisteva. A questo brutto segnale se ne oppone uno promettente. Nel 1998 sono partiti i primi ottanta di una ricca trama di laboratori musicali. Se n’è parlato su ScuolAmadeus dell’ottobre 1999. Molti fra gli addetti però denunciano il rischio che possano diventare uno strumento boomerang. Ottima iniziativa per incrementare la vita musicale delle scuole, se ne vedono già i buoni risultati, nonostante le disfunzioni organizzative, imputabili alle solite inefficienze del nostro apparato burocratico. Ma c’è il rovescio: non saranno per caso un alibi, un contentino, per escludere la musica dalla sede a cui ha diritto - il curricolo ordinario? Nella stagione che si apre, i nocchieri dell’educazione musicale dovranno governare la loro navicella in un mare agitato.

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