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di Ettore Napoli Presentato il ritorno dell’Otello di Rossini alla Scala dove manca dal 1870. Ma sino al 1875 lo si poteva ancora vedere sui palcoscenici di Madrid, Parigi e San Pietroburgo; poi, anche qui, sarebbe stato eclissato da quello di Verdi (1887) che a lungo avrebbe pensato di chiamare il suo dramma Jago: non solo per motivi drammaturgici considerando quest’ultimo il vero motore di tutta la vicenda, bensì per il timore reverenziale che comunque provava nei confronti dell’autore dell’altro Otello. Sia gli interpreti scaligeri -Gregory Kunde (oggi forse l’unico tenore ad avere interpretato i due Otello), Olga Peretyatko, Juan Diego Flórez ed Edgardo Rocha- che il direttore Muhai Tang (suo l’Otello rossiniano andato in scena a Zurigo l’anno scorso con Cecilia Bartoli, disponibile anche in dvd) hanno sottolineato prima di tutto l’impossibilità di un paragone tra i due lavori; anche se il terzo e ultimo atto di Rossini è di una stringatezza drammaturgica che all’epoca dovette apparire rivoluzionaria. E tale apparve anche il finale tragico, tanto che per una ripresa del 1820 a Roma il compositore lo sostituì con uno ‘lieto’, dove Desdemona convince Otello della propria innocenza e insieme cantano un duetto di riconciliazione sulla musica del finale dell’Armida composta nel frattempo (alla Scala, come vuole la Rossini Renaissance degli ultimi decenni, andrà in scena il finale originario). Altra sottolineatura è stata quella relativa all’estrema difficoltà della scrittura vocale dei quattro personaggi principali, in particolare quelli di Desdemona e di Rodrigo (rispettivamente, Isabella Colbran e Giovanni David nella prima al Teatro del Fondo di Napoli nel 1816) che vedranno impegnati la Peretyatko, alla sua seconda presenza in Scala dopo l’esordio in Una sposa dello Zar nella stagione scorsa, e Florez il cui debutto in Scala risale al 1996 in Armide di Gluck diretta da Riccardo Muti. Quanto alla direzione, Tang si è soffermato sulle notevoli differenze tra l’Otello di Zurigo e questo: lì in un teatro piccolo, con un’orchestra ridotta e strumenti originali (con conseguente diapason più basso) è uno spettacolo di fatto costruito attorno alla Bartoli, qui in un teatro molto più grande, un’orchestra più corposa e con strumenti tradizionali (quindi diapason secondo la prassi corrente) è uno spettacolo più equilibrato e nel rispetto dei singoli ruoli. Il regista Jürgen Flimm, che firma anche le scene (suoi gli ultimi Wozzeck scaligeri e quello riproposto al termine di questa stagione), ha rivelato di avere costruito lo spettacolo partendo da un’idea di Anselm Kiefer, uno dei più originali pittori e scenografi contemporanei, che a suo avviso avrà un forte impatto sul pubblico, legata a problematiche sociali e culturali attuali.
Fonte: www.amadeusonline.net
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