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Quando 'I sei della domenica' diventarono nove


(riflessioni su un'esperienza di Hausmusik) di Antonio Giacometti da "BresciaMusica" Luglio 2000

"A queste vecchie forme di vita
che resistono sotto la superficie
della civiltà moderna si deve,
in molti casi,
il calore insito in ogni piacere,
nell'amore di una cosa amata per se stessa
e non in quanto mezzo
per ottenerne un'altra."

Max Horkheimer

Non intendo dare a questo breve contributo un taglio scientifico per il semplice fatto che l'esperienza qui descritta non ha alcuna pretesa di scientificità. Semmai si è mossa a partire da convinzioni didattiche, che si sono radicate in me nel corso di quasi un ventennio di ricerca e di sperimentazione nell'ambito educativo musicale e segnatamente in quello della musica d'insieme al livello primario della propedeutica strumentale.

Decenni, va detto, passati a combattere contro l'incredulità e lo scetticismo di quanti, musicisti per primi, vedevano (e vedono) nelle attività musicali d'insieme poco più di una perdita di tempo, tempo sottratto allo studio individuale 'duro e puro', quello, per intenderci, che non ha relazioni con alcuna pratica sociale del far musica; quello, per intenderci, che fortifica i già forti, demotiva gli entusiasti, umilia i dubbiosi. Quello, ci siamo intesi, che pervicacemente si ostina a far crescere musicisti incapaci di ascoltare se stessi e gli altri, di stare a tempo, di adattarsi a diversi linguaggi e sonorità, di rispettare le altrui difficoltà e di cercare dagli altri l'aiuto per risolvere le proprie; tecnicamente bravi, forse, ma sordi e ottusi e con problemi psicologici a non finire, grazie ad una storia di approcci tristi e sofferenti con un'attività che invece deve il proprio fascino proprio alla possibilità di partire dal chiasso festoso, per poterlo poi sublimare lentamente fino a renderlo astratto, impalpabile e ambiguo.

Ma per raggiungere certe altezze si deve partire con i piedi per terra, e prima di teorizzare sulla musica la si deve possedere dentro, cioè saperla suonare, nel modo più completo possibile, con la dovuta ricchezza di timbri e di combinazioni armoniche, di articolazioni contrappuntistiche, eterofoniche e rumoristiche, di sistemi compositivi e riferimenti culturali diversi. Cioè suonando in tanti. Perché la fantasia timbrica necessaria, per esempio, al futuro 'grande pianista' per interpretare brani che impongono al suo strumento rimandi orchestrali impliciti o espliciti si sviluppa proprio a partire da qui. E tutti lo sanno, ormai, da tempo, e vasta è la letteratura sull'argomento, oggi anche in lingua italiana.

Tutti lo sanno, ma non si vede nessuno impegnarsi al di fuori dei pochi spazi istituzionalizzati destinati a questa attività (le Scuole Medie a indirizzo musicale, alcune Accademie private o di natura associativa) e, soprattutto, non si vede nessuno capace di gestire questo importante momento della crescita musicale delle nuove generazioni inquadrandolo in un progetto educativo globale, anziché relegarlo al ruolo di preparazione ripetitiva di brani 'da concerto', dove gli allievi si abituano a 'timbrare il cartellino' da buoni orchestrali, nel corpo e nella mente.

E qui mi fermo. Su questo argomento ho già scritto, e detto, fin troppo (anche dalle colonne di questo giornale, cfr. n. 62 del Giugno 1998), troppo spesso inascoltato, quando non irriso, o inviso, snobbato, ignorato.

Passo invece a raccontarvi una bella storia. Una storia che sembra una favola, tanto riesce a collocarsi fuori da questo mondo utilitaristico e appiattito, dove l'amicizia e la passione vera per qualcosa che si condivide con altri si accendono solo davanti ai miraggi del successo personale o della vittoria.

E' la storia di Elisabetta, Camilla, Irene, Paolo e Viola, cinque amici di mio figlio (Andrea), che frequentavano con lui i corsi di Cultura musicale e musica d'insieme, da me tenuti presso i "Corsi di avviamento strumentale" della SIEM bresciana. I genitori, amici di più o meno lunga data, intrecciati da fili di lavoro e di colleganza scolastica e tutti abbastanza vicini d'abitazione da permetterne il reciproco raggiungimento in tempi sufficientemente rapidi.

Un giorno (era il Gennaio del 1998), nasce quasi per caso l'idea di riunire i bambini una domenica ogni due settimane: suoneranno insieme per un'oretta e mezza, poi andranno a giocare insieme, liberamente. Libera osmosi tra gioco e musica, bambini e genitori capaci di ritrovare, intorno a un pentagramma, il gusto della chiacchiera fine a se stessa, della risata spontanea davanti a una torta appena sfornata, della partita a pallone intorno alla quale aleggiano ancora le ultime note dell'ultimo pezzo suonato. Irene suona il pianoforte a quattro mani con Camilla; Viola suona il violino con Betta; Andrea è flautista, Paolo violoncellista. Tre coppie di bambini di nove, dieci e undici anni non ancora compiuti, ma già con una lunga storia musicale dietro le spalle; la propedeutica generale a cinque e sei anni, l'avviamento strumentale, la riflessione sui tratti fondamentali del linguaggio musicale attraverso la musica d'insieme.

Si chiamava Hausmusik, nella Germania del '700, questa pratica 'casalinga' del far musica. Cadde un po' in disuso nel secolo successivo, si riaffacciò nei primi decenni del Novecento, subì una trasformazione culturale nell'ultimo cinquantennio con la nascita dei gruppi giovanili rock e pop. Riproporne oggi la matrice originaria può sembrare operazione anacronistica, ma con evidenza è invece vero il contrario, perché non c'è nulla di più attuale che il desiderio dell'uomo, come 'animale sociale', di condividere con i propri simili le proprie idee, gli interessi, le passioni artistiche e culturali. E se i bambini saranno invogliati ad una tale condivisione fin dalla più tenera età, non potranno che trarne giovamento nella sfera dei rapporti sociali e sulla lunga, difficile strada che conduce ad attribuire un senso vero all'"esserci".

Ma continuiamo il nostro racconto. Le prove si svolgono senza pretendere che i bambini, gravati dagli impegni scolastici e strumentali, studino la parte a casa. Qualcuno, invero, lo fa. Ma sa che non è obbligato. Si costruisce tutto al momento, sollecitando la velocità di lettura e la proposta di soluzioni alternative. Per questo i brani sono brevi e scritti al di sotto delle capacità strumentali di ognuno, d'immediata comprensione del disegno formale e giocati entro diversi contesti linguistici. Ognuno contiene però almeno una difficoltà di ordine ritmico, o d'intonazione o di coordinamento timbrico dell'insieme.

Il primo 'repertorio' comprende dunque un blues, una Children's song di Corea (Jazz), un brano modale russo, un Mango basato su un complesso poliritmo additivo, un brano di musica contemporanea, con integrazioni aleatorie ed effettistica varia, e la trascrizione della Pavane da Ma mere l'oye di M. Ravel.

Tra la primavera e l'autunno del 1999 ci si presenta con questi brani a due appuntamenti, per così dire, 'pubblici': un concerto tra amici ed un concorso dedicato alla musica d'insieme per ragazzi. Nascono così I sei della domenica.

Inutile dire che la decisione di partecipare ai due eventi viene presa di comune accordo tra me, i bambini e i loro genitori: i tempi sono maturi anche per 'uscire', per comunicare ad altri quell'affiatamento che, domenica dopo domenica, va costruendosi nel gioco e nella musica. A memoria degli incontri finora svolti, non ricordo di averli mai sentiti una sola volta litigare o lamentarsi perché qualcuno sbagliava qualche nota di troppo. Da parte mia, cerco di tenere sempre bassa la tensione ed alte le motivazioni, anche mettendomi personalmente in gioco fuori dai momenti di lavoro vero e proprio, come quando spedisco bigliettini e messaggi di posta elettronica per scusarmi di un mio atteggiamento troppo nervoso o immotivatamente severo nei confronti di qualcuno.

Tale affiatamento produce risultati tangibili nel miglioramento del suono d'insieme, nella capacità di 'sentire' le intenzioni dell'altro, come dimostrano l'esecuzione in concerto, svolta col sorriso sulle labbra senza il minimo timore reverenziale per il pubblico presente, e quella davanti alla giuria del concorso, portata a termine con una precisione ritmica impressionante, considerando il fatto che sono in sei e suonano per la prima volta senza direttore.

Durante la preparazione di queste performances una bambina di nove anni se ne sta seduta in un angolo. E ascolta. Ascolta e segue con una tale assiduità che è impossibile non comprendere la sua voglia di entrare in quel gruppetto di suonatori che ridono e giocano. Si chiama Clelia, è sorella di Camilla e suona il violino da un paio d'anni. La accolgono a braccia aperte e l'aiutano ad inserirsi, anche dal punto di vista tecnico-musicale, suggerendole i tempi d'entrata, sistemandole le arcate.

I sei della domenica sono diventati sette. E' la prima decade di novembre dello scorso anno.

A togliermi dall'imbarazzo per la non facile costruzione di un repertorio adatto ad una simile, anomala formazione ci pensa l'arpista Francesca Tirale, che mi propone un'esperienza d'integrazione con i corsi di animazione teatrale della compagnia bresciana "Telaio". Si tratta di realizzare una versione della Fabbrica del cioccolato di Roald Dahl. I ragazzi accettano di buon grado e, per l'occasione, si aggiungono ai sette l'arpista Giulia, allieva di Francesca, e la flautista Marta, ora compagna di Andrea e Viola presso il Conservatorio bresciano e ben felice di tornare a suonare con alcuni dei suoi compagni del gruppo della SIEM. Entrambe hanno dodici anni.

Si lavora ad una partitura non facile, che ho scritto pensando ad una drammaturgia musicale fatta di 'normale' esecuzione strumentale, ma anche d'interventi vocali, parlati e cantati, di poliritmi africani realizzati su strumenti a percussione, di gestualità e di recitazione integrata con la scena.

Impensabili i risultati raccolti da questi preadolescenti in così poche prove e commovente il loro atteggiamento, anche durante la rappresentazione, per dedizione ed energia e trasmissione al pubblico di gioia di suonare, come gioco comunicativo totale e liberatorio, ma sempre affrontato col più onesto rispetto delle sue regole, perché il gioco giocato consapevolmente diverte di più ed offre stimolanti spiragli alla sua rielaborazione creativa.

I Sette della domenica adesso sono nove. E francamente non mi sembra abbiano alcuna intenzione di tornare al numero originario.

Questa storia è talmente bella che vorrei potesse non finire mai. Invece finirà, almeno per me, perché questi bambini, ora già ragazzi, diventeranno presto adulti e la continueranno da soli, come è giusto e auspicabile che sia. Io certamente ricomincerò un altro lungo ciclo, con altri bimbi e con le loro famiglie, consapevole che quando la neve degli anni mi avrà coperto interamente il capo e le dita, con le quali continuerò a indicare le entrate o l'espressione da dare a un passo, si saranno fatte grinzose non sarò riuscito a coinvolgere nel mio 'sogno ad occhi aperti' che poche decine di piccoli musicisti.

E' per questo che mi sento, ora, di fare un appello a tutti i colleghi che hanno sinceramente a cuore il futuro musicale del nostro Paese: adottate sei bambini e regalate loro la gioia di suonare insieme, semplicemente per ciò che la cosa rappresenta 'in sé', coinvolgetene le famiglie, fatevi testimoni di quanto possa essere sano un rapporto tra adulto e bambino realizzato al sole del gioco, della creatività e dell'espressione. E non lasciatevi spaventare dalle metodologie e dal repertorio. Studiate, fatevi consigliare da un esperto didatta, chiedete l'aiuto di un compositore. Soprattutto, siate fino in fondo musicisti e basta. Quelli veri. Quelli che non alzano barriere di cemento armato tra un 'solo' appena interpretato con la Filarmonica della Scala e le sonorità vitree, poco temperate, di un gruppo di bambini principianti, magari anche 'poco dotati'. Perché è proprio lì che si annida la musica, coi suoi addentellati sociali ed affettivi e con tutta la potenzialità estetica pronta ad esplodere. Quando, e come, lo deciderà la vostra umiltà e la vostra pazienza nell'apprezzare, passo dopo passo, il pur minimo miglioramento individuale e d'insieme, senza affrettare i tempi, senza farsi prendere dalle ambizioni sbagliate.

A Camilla, Irene, Elisabetta, Viola, Clelia, Paolo, Giulia, Marta e Andrea il mio più sincero grazie per tutto quello che sono riusciti ad insegnarmi.

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