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di Paolo Valentino
MONACO DI BAVIERA «Il mio predecessore a Berlino fu un grande direttore d’orchestra italiano e tornare alla Scala per me e l’orchestra è un’occasione speciale, importante per la sua memoria e per ciò che rappresenta».
Domani sera Sir Simon Rattle dirige i suoi leggendari Berliner Philharmoniker nel secondo concerto del Festival delle Orchestre, che accompagna l’esordio di Expo 2015. Con la migliore compagine sinfonica del mondo, il maestro inglese eseguirà la Sinfonietta di Janacek e la Settima di Brückner. Ma per Sir Simon, dopo 13 anni, è già cominciato il conto alla rovescia alla guida dell’orchestra che fu di Herbert von Karajan e Claudio Abbado: nel 2018 lascerà la Philharmonie alla volta di Londra, dov’è stato designato direttore musicale della London Symphony Orchestra.
Sir Simon, perché Londra e non Lucerna o New York, le altre ipotesi circolate sul suo prossimo impegno artistico?
«È terribile ammetterlo, per uno nato a Liverpool, ma sono ancora inglese. Battute a parte, ho diretto molte orchestre a Londra, ma non ne ho mai guidata una. E negli ultimi anni il rapporto con la London Symphony è stato eccezionalmente produttivo. Con alcuni orchestrali siamo stati insieme nella National Youth Orchestra, siamo amici da 45 anni. Quando mi hanno cercato per la prima volta, anni fa, la cosa più affascinante è stata che parlassero solo del futuro, di nuovi progetti musicali, iniziative verso la comunità e i giovani. Diciamo che alla London Symphony c’è un altro modo di guardare le cose rispetto ai Berliner, per me molto interessante».
Che cosa le piacerebbe portare con sé dell’esperienza con i Berliner?
«In una frase direi profondità di suono e profondità di ascolto. Ma la London Symphony è una delle più grandi orchestre del mondo e, per usare il vino come metafora, non si può pensare di trasformare un pinot noir in uno Chateauneuf du Pape, perché sono suoni diversi, con concetti differenti. Io posso aiutare la London Symphony a trovare altri suoni e colori. Sono molto aperti e flessibili. E sono determinati a diventare i migliori. Ripeto sono due vini diversi, ma si può avere immenso piacere a gustarli entrambi».
Quale vorrebbe fosse la sua legacy ai Berliner?
«Spero che la direzione di apertura verso la quale ci siamo progressivamente mossi venga mantenuta».
C’è qualcosa che rimpiange di non aver fatto?
«È un gruppo di artisti molto indipendente. I Berliner sono come i Meistersingers, sono una gilda e come loro direttore devi accettare il fatto che non ne sei mai parte. È al tempo stesso la forza e la debolezza dei Berliner, per questo dico che dirigerli è il lavoro più bello e più duro del mondo. Ma se ho un rammarico, direi che l’impossibilità di convincere tutti gli orchestrali a lavorare di più con i giovani musicisti è una grande tristezza per me e una perdita per l’orchestra».
Ci sono stati momenti aspri con loro in 13 anni. Qual è stato il più problematico?
«Ci sono stati anche con altri miei predecessori e ci saranno sempre. Un passaggio molto difficile fu il periodo precedente la mia rielezione. È un’orchestra di molte opinioni, lo sto vedendo adesso, mentre discutono e litigano per la nomina del mio successore».
Il quale sarà...
«Un meraviglioso direttore d’orchestra. Ci sono solo grandi nomi nella contesa. Anche se la loro diversità di impostazione e ispirazione illustra quali differenze di opinione esistano fra gli orchestrali».
Ma punteranno verso il rinnovamento o la tradizione?
«È come l’elezione inglese: 50/50. A Londra mi dicono che non c’è mai stata General Election dall’esito così incerto. Credo sia vero anche per la scelta che faranno i Berliner l’11 maggio. Dopo tanti anni sono la mia famiglia e per me è di estrema importanza vedere chi eleggeranno. L’unica cosa che ho detto loro è: dovete risolvere il problema della rielezione. È un processo che danneggia il rapporto tra orchestra e direttore. I Berliner devono trovare un modo per lavorare insieme a chi li dirige, invece di avere una sola parte che decide se rinnovargli o meno il contratto. Così è potere senza responsabilità. E un direttore deve stare sempre in guardia».
Quale considera la cosa migliore della sua produzione artistica con i Berliner?
«Molta gente sogna di volare. Quando funziona tutto con i Berliner, quando c’è identificazione totale in uno di quei momenti miracolosi che ogni tanto arrivano, allora sei sicuro che stai volando. Quelli non li puoi dimenticare».
Ne dica uno.
«La Matthaeuspassion di Bach. Ogni volta che l’abbiamo fatta. Ma ci sono altri pezzi e opere».
Expo 2015 è dedicato al tema «Nutrire il pianeta». Qual è il rapporto musica-cibo?
«Io mi preoccupo immensamente del problema di nutrire il pianeta e di come lo affronteremo nei prossimi decenni. Conosco pochi musicisti che non siano affascinati dal cibo. Nelle nostre metafore preferite, il cibo viene per primo, il sesso secondo. Quindi penso che il legame tra musica e gusto deve essere molto potente».
Fonte: www.corriere.it
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