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Storia della musicoterapia. Accenni ed approfondimenti a cavallo dei secoli


di Rosa Maria Sarri

La connessione fra la musica e la medicina risale a molto molto tempo fa, con tutta la probabilità si va indietro fino al paleolitico.
Per parlare più approfonditamente dell’età antica si può iniziare dicendo che gli uomini di questo periodo dovevano lottare costantemente per la sopravvivenza, non soltanto procurandosi il cibo, uccidendo le belve feroci e costruendosi ripari contro le ingiurie delle stagioni, ma anche avendo a che fare con malattie ed infortuni di ogni genere. I nostri antenati non avevano concezione di virus, batteri e degenerazione delle cellule. La malattia era qualcosa la cui origine era soprannaturale, causata probabilmente dalla magia crudele di un nemico o dalla cattiveria di uno spirito. L’unico modo per sconfiggere questo status era usare tecniche magiche ingaggiando il mago-dottore, la strega o lo/la sciamano/a del villaggio.
I più primitivi strumenti avevano le potenzialità per essere usati per propositi magici ed in special modo per scongiurare le battaglie degli spiriti dell’altro mondo. Ecco perché questi strumenti erano proprietà dei sopra citati stregoni.
In Europa ed in Asia si parla di percussioni, arco, flauto e corno. Strumenti antichissimi visto che un flauto d’osso datato fra 43000 e 67000 anni fa è stato ritrovato in Slovenia.
Il tamburo, come quasi tutte le percussioni, rappresenta molto spesso il ventre materno; l’arco del cacciatore, se dotato di risuonatore, diventa un ottimo arco musicale (ancora aperta la querelle se sia nato prima arco da caccia o musicale); i flauti, o cosiddetti tali, provenivano da ossa di animali, da legni di varia natura o addirittura da materiale “usa e getta” che li rendeva buoni solo per l’uso di una o poche volte.
Ma da dove venivano i suoni? Se un uomo arcaico suonava un gong quello che sentiva era la voce del metallo o dello spirito che risiedevo in esso. Considerando ora gli strumenti sopra menzionati, la maggior parte di loro è composta da parti di animali uccisi ed è anche per questo molto facile trarre la conclusione che il suono provenga da un altro mondo.
Possiamo trovare tracce dell’idea che le creature morte potessero parlare attraverso gli strumenti musicali fatti con parti dei loro corpi anche nella letteratura greca ed in tempi più tardi.
Quando andiamo nella Grecia arcaica ci troviamo di fronte ad un mondo diverso da quello preistorico. Nello stesso tempo, spesso, ci sembra che questi due universi siano ad un passo.
Ci sono leggende di cantori la cui musica dava loro potere soprannaturale. Amfione, con la sua lira, costruì le mura di Tebe. Orfeo, sempre attraverso la musica, controllava il mondo naturale e viaggiò fino all’altro mondo per recuperare l’anima di Euridice. Lui può sicuramente dirsi una “figura sciamanica”.
Il canto delle sirene che agisce su Ulisse & co. nell’Odissea omerica e molte altre citazioni non sono ancora tuttavia esempi di terapia con la musica. Tuttavia il termine “incantare” significa letteralmente “cantare sopra” o “cantare dentro”……….tutto da discutere, vero?
L’unica cosa che somiglia più da vicino a qualcosa di terapeutico è la peana: una forma di comune benedizione cantata in varie circostanze, associata alla purificazione da molti elementi di ingiuria. Ma anche qui non agiamo direttamente sulla sofferenza e quindi siamo ancora lontani dalla nostra musicoterapia.
Per avvicinarcisi dobbiamo incontrare Pitagora, figura di particolare importanza in merito.
Al di là dei vari teoremi che prendono da lui il nome, il nostro è vissuto nella seconda metà del sesto secolo prima di Cristo. Scoprì che ottave, quinte e quarte corrispondevano rispettivamente alle frazioni numeriche 1:2, 2:3 e 3:4 inaugurando una lunga tradizione di calcolo di vari intervalli appartenenti ad ogni tipo di scala.
È proprio nel circolo dei pitagorici che si parla di uso terapeutico della musica. Aristosseno scrisse che i pitagorici “usavano medicine per purificare il corpo e musica per purificare la mente”. Altri autori narrano che i pitagorici usavano suonare la lira al mattino per svegliarsi meglio ed alla sera per prepararsi a sogni premonitori e depurarsi dalle sventure della giornata.
Quando si parla di pitagorici è ovvia chiederci a quale pitagorico ci si riferisca; qualsiasi cosa tende ad essere proiettata su Pitagora stesso. La fonte più presta è Aristosseno appunto, nel quarto secolo prima di Cristo, il quale ha avuto dei contatti diretti con Pitagora.
Gli effetti dei differenti tipi di musica sulle emozioni e sul carattere degli ascoltatori furono molto discusse dai teorici dalla seconda metà del quinto secolo in avanti. Pericle e Socrate scrissero saggi in merito; i vari modi e ritmi usati in Grecia erano intimamente connessi con le diverse qualità morali.
Canzoni e danze installavano particolari agitazioni, turbamenti nell’anima deponendo modelli in essa che riflettevano le loro proprie qualità. Questi modelli formavano un carattere di ragazzo ancora non completo mentre per gli adulti tiravano fuori i loro tratti latenti. Questa particolarità era molto importante per regolare l’educazione degli individui ed assicurare il giusto tipo d’influenze (quindi la musica aveva anche una grande impronta politica e sociale).
Damone, entrando in dettagli maggiormente tecnici, descrive sei differenti scali modali, specificando le note e gli intervalli in ognuna di esse e pronunciandosi sulle loro qualità morali. Fece lo stesso con ritmi e tempi, raccomandandone alcuni e condannandone altri che, si diceva, instillassero aggressività, odio od altre indesiderabili qualità.
Ma perché scale, ritmi e movimenti di danza hanno qualità morali? Perché sono modellati sulle voci e sui movimenti delle persone che hanno queste qualità.
Per parlare più da vicino dei modi, quelli approvati da Platone, il dorico ed il frigio, erano generalmente distinti in caratteri. Il dorico era considerato dignitoso e senza fronzoli, ognuno parlava bene di esso. Il frigio, d’altro canto, veniva visto come eccitante e passionale.
I principali strumenti nella Grecia antica erano la lira e l’aulos. Quest’ultimo non era un flauto ma della famiglia degli oboe. Nei termini dei loro effetti psicologici e terapeutici sono molto differenziati. Il modo dorico è associato con la lira, il frigio con l’aulos. Nella tradizione pitagorica fu la lira a giocare il maggior ruolo, usata per purificare le anime da passioni irrazionali, per assistere nel viaggio verso il mondo dei morti.
Tuttavia l’aulos aveva una natura più che negativa ambivalente: Aristosseno stesso lo usava per curare.
Disordini psichici a parte la musica si occupava anche del fisico; la sciatica, i morsi di serpente, l’epilessia erano alcune delle occasioni dove l’”in-canto” era applicato (in questi casi era anche la posizione: cantare sul paziente).
Quando osserviamo Roma troviamo una naturale prosecuzione di aneddoti ed usi ellenici.
Otto libri scritti al tempo di Tiberio ricordano una triste cogitationes che suona come la depressione. Nel trattamento di essa symphoniae et cymbala strepitusque sono benefici.
Il riferirsi ai cembali ed ai suoni alti richiama i culti bacchici e coribantici, culti conosciuti da Platone, che iniziavano con musiche e danze sfrenate.

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