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di Massimo Rolando Zegna Alla Scala mancava da 150 anni. Giovanna d'Arco, settimo melodramma di Giuseppe Verdi, torna sul palcoscenico milanese come titolo poco conosciuto, ma lo fa con gran pompa, in occasione dell'inaugurazione della nuova stagione del teatro lirico, sotto la direzione di Riccardo Chailly. Il maestro l'aveva già interpretato nel 1989 al Comunale di Bologna, con la regia di Werner Herzog. La scelta dell'opera è significativa ed esprime la nuova linea artistica e culturale che Chailly – fino al 2016 Direttore principale e dal 2017 al 2022 Direttore musicale – vuole imprimere al teatro del Piermarini. In sostanza, con Giovanna d'Arco s'inaugura un disegno artistico ad ampio respiro che si svilupperà nei prossimi anni, accanto all’ambizioso progetto di esecuzione di tutte le opere di Giacomo Puccini. L'intenzione è quella di riproporre una serie di opere nate per la Scala, riallacciando il legame con l'importante tradizione del nostro melodramma, allargando il numero dei titoli, alternando i più famosi alla riscoperta di capolavori meno eseguiti, e portando in palcoscenico edizioni critiche. In questo caso, quella curata da Alberto Rizzuti per Ricordi/University of Chicago Press. La regia è stata affidata ai belgi Moshe Leiser e Patrice Caurier, mentre la compagnia di canto comprende Anna Netrebko nella parte di Giovanna, Francesco Meli nella parte di Carlo VII e Carlos Álvarez nella parte di Giacomo. Ideata da Verdi su un libretto di Temistocle Solera liberamente tratto dal dramma di Friederich Schiller Die Jungfrau von Orléans, Giovanna d'Arco andò in scena per la prima volta alla Scala il 15 febbraio 1845. Seguirono sedici repliche. Nonostante la buona accoglienza del pubblico, l'opera segnò l'inizio di un lungo allontanamento di Verdi dalla Scala. Dopo questo lavoro, il compositore sarebbe tornato al palcoscenico milanese con una prima assoluta, quella dell'Otello, addirittura nel 1887: a distanza di 42 anni. Nel frattempo, Giovanna d'Arco era tornata alla Scala due volte: nel 1858 (7 rappresentazioni) e nel 1865 (17). Poi il nulla. Chailly la definita come un'«opera difficilissima che richiede un grande impegno vocale, con un libretto complicato in cui non c'è quello che uno si aspetta dal mito di Giovanna d'Arco», mentre, subito dopo la prima, Verdi scrisse in maniera decisa «La mia opera migliore, senza eccezione e senza dubbio». E in effetti Giovanna d'Arco è una partitura sì sperimentale, ma anche dotata di un'orchestrazione curatissima che include anche fisarmonica, campane, sistri, arpe, un cannone e, nell’ultima romanza di Carlo, un sorprendente accompagnamento di corno inglese e violoncello solo. Una composizione che fa da cerniera tra le esperienze giovanili e la “trilogia popolare” di Rigoletto, Traviata e Trovatore, e capace di anticipare i capolavori della maturità: Don Carlo, Messa da Requiem, Un ballo in maschera, Aida, Rigoletto, Il trovatore e La forza del destino.
Fonte: www.amadeusonline.net
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