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di Paolo Russo
Caetano e Gilberto di nuovo insieme su un palco. Per i tanti fan nostrani della Musica Popular Brasileira, la MPB (ma pure della grande musica tout court) i loro duetti acustici sono annunciati per luglio a Chieri (10), Milano (11), Perugia (17, Umbria Jazz) e Udine (19), soste d’un lungo tour europeo, dall'emblematico titolo emblematico: "Two friends, a century of music", si preannunciano come il meglio piatto dell’estate. Non è certo la loro prima volta a queste latitudini. Anzi, l'ultima di una lunga, trionfale serie. Nella quale la memoria corre cercando fra tante lontane occasioni e trovandone subito una. Giardini del Frontone, Perugia, 9 luglio 1994. Come da tradizione, i giorni di Umbria Jazz. Che quell’anno aveva due ospiti molto speciali, mai visti insieme prima su un palco in un’Italia che di note brasiliane sapeva ancora poco o nulla. A parte il discutibile uso d’arredo sonoro per interno (o esterno) borghese di Carlos Antonio Brasileiro Jobim detto Tom, il suo antico sodale Vinicius de Moraes e Joao Gilberto. Il tris d’assi della bossa, che d’altronde, al contrario del samba, nasce colta e benestante. Sul palco perugino in mezzo al verde, quella notte già carica di minacce celesti, salivano Caetano Veloso e Gilberto Gil. Fratelli di culture, terra, musica ed esilio. Negli anni della terribile dittatura seguita al golpe del 1964, quando il Tropicalismo – seppur con loro, fondatori di quell’eresia tropical-situazionista, esuli in Inghilterra fra 1968 e 1972, dopo la detenzione in patria – reagì, come nitro e glicerina, con la contestazione studentesca che per prima si levò contro i criminali in divisa saliti al potere, dove resteranno fino all’85. Finendo comunque anche lui, il Tropicalismo, la cui anima libertaria e antropofaga (dal nome dell'avanguardia brasiliana teorizzata dal poeta modernista Oswaldo de Andrade nel 1928) aveva abbattuto le barriere fra musica, cinema, letteratura, arti visive e teatro in nome d'una spregiudicata ricerca e d'una arte totale, una profezia per l'epoca, contestato da quel fronte giovanile che invano chiedeva a gran voce libertà e giustizia. Come racconta con faconda profondità d’immagini e materiali inediti lo splendido documentario Tropicalia di Marcelo Machado, protagonisti Caetano e Gilberto appunto, insieme fra i tanti a Gal Costa, Maria Bethania, Tom Ze, Os Mutantes.
Tradizione, Africa ed elettronica. Tropicalia dunque. Da intendersi come raccolta di cose e storie dei (tristi, secondo il grande antropologo Claude Levi-Strauss) tropici. E anche come il primo disco insieme di Caetano e Gilberto – in Brasile chiunque vien chiamato col nome proprio, il cognome pertiene alla sfera dell’ufficialità – che lo pubblicarono nel ’68 con l’eloquente sottotitolo: Ou Panis et Circenses, ultima pietra lanciata da casa prima dell’esilio contro la dittatura e i suoi AI, i famigerati decreti che privarono il paese dei diritti costituzionali. Il cui seguito, Tropicalia 2, capolavoro datato ‘93, l’anno prima cioè del loro debutto italiano a Perugia, finì per essere il sistema nervoso di quel concerto. A partire dalla impalcabile scansione simil rap diHaiti, durissimo, ispirato inno contro ogni violenza e razzismo, per continuare con la hendrixiana Wait Until Tomorow rivestita di pura percussione, la poesia concretaRap popconcreto, che riecheggia la rivolta estetico-politica tropicalista, la tradizione del vecchio baião che torna in Cada Macaco no seu Galho e Bai?o Atemporal, l’omaggio all’arte sublime del regista Glauber Rocha di Cinema Novo. Un disco formidabile che già vent’anni fa, con buona pace dell’odierno esercito di contaminatori in perenne ritardo, fecondava Africa e tradizione brasiliana con un’elettronica spinta ma sempre al suo posto, la politica con la poesia, la protesta con l’ingegno altissimo, vibratile di quei due futuribili stregoni bahiani. Che ebbero poi il coraggio di portare in tour quella gemma solo con le loro voci, le loro chitarre e le loro diversissime, perfettamente complementari sensibilità. Una quadratura del cerchio che vedeva le sei corde da gran virtuoso di Gilberto integrare a meraviglia quelle sghembe, monkiane di Caetano; la cui voce dolce, intima e sensualissima, vertiginosa per l’estensione, specie nelle note alte, e i melismi arabeggianti (il Medioriente, specie libanese, è molto presente nella foresta di culture del Brasile, come confermano i romanzi di Amado), si sposava con quella solare, straripante energia del compare.
Beleza pura. Fu quasi un bene, in quella notte di mezz’estate dal cielo nero di nubi, che quasi nessuno sapesse o immaginasse cosa avrebbero fatto, sul palco e in acustico, di decenni d’amicizia fraterna, musica e vita. Perché sorpresa e felicità dei tanti scatenarono un’energia densa, sana, forte. Una sorta di laica ascensione del corpo e dello spirito, come un rito che sappia mantenere unite le sue di solito opposte metà dionisiaca e apollinea. Un’emozione quella del 9 luglio 1994 al Frontone, che molto di rado si sente salire per vene e nervi davanti a un concerto. Buone vibrazioni, anzi ottime, calde e profonde. Una festa di corpo, pensiero e sentimento. Un allegro, contagioso sabba. Un fiume in piena di sorrisi gioiosi, abbracci fra sconosciuti e danze senza sosta, coi brasiliani, come sempre in prima fila con striscioni e magliette verdeoro, invase la platea. E produsse il piccolo ma memorabile miracolo di bloccare gli almeno quattromila presenti sotto il diluvio che, lungamente promesso dall’alto, alla fine scese allegro e torrenziale su note, persone e cose. Nessuno si mosse né smise di sorridere e ballare, al massimo qualche ombrello e impermeabile tascabile. Pochi però. Anzi pochissimi. Sotto a quelle indimenticabili, generosissime secchiate tutti si bagnarono fradici e felici senza batter ciglio. Grati per il dono di tanta “beleza pura”. Aperta dal soul brasiliano del meraviglioso Djavan e dalla classe superba della divina Gal Costa, “splendida tigre di Bahia, feroce e dolce, sensuale e casta, dolorosa ed esortante” come la definì sul “Corriere” la penna fine del compianto Vittorio Franchini, quella notte fece un ultimo regalo a chi c’era: il trionfo finale di gente e musici, tutti e quattro insieme sul palco per i bis. Quando giunse la fine il pubblico non voleva crederci e chiese a lungo, anche gli italiani che subito impararono, “porqu? parò? paro purqu??” (Perché ti fermi? Ti fermi perché?), il coro rituale col quale i brasiliani implorano, fino allo sfinimento e alla conseguente resa dell’artista, i bis. Poi, in piedi, applaudì commosso senza saper smettere, come un sole estivo che non vuol scendere dal cielo.
Così il Brasile fece sua l’Italia. La cronaca di quell’Umbria Jazz memorabile registra poi un cameristico bis di Caetano e Gilberto al prezioso Teatro Morlacchi e i concerti singoli, manco a dirlo magnifici, di Gal e Djavan. Dal ’95 Caetano, che nel ’93 aveva aperto la lunga e felice relazione fra festival e Brasile con Circulado ao vivo, epocale svolta nata sotto l’egida geniale di Arto Lindsay, tornerà più volte a Perugia, radicando inevitabilmente a fondo nel cuore degli italiani. E diventando così un habitué del festival che da quei primi Novanta, tempi davvero non sospetti, ha aperto cuori e menti nostre all’alato ciclone MPB. Proseguendo poi quell’opera meritoria coi ritorni anche di Gilberto e coi live di Jorge Ben, Milton Nascimiento, il colossale Joao Gilberto (stellare il duetto al Morlacchi nel 2002 con Caetano, che con Bollani in anni più recenti ha invece convinto meno), Marisa Monte, Maria Bethania.
Cento anni di musica. In due. Cosa aspettarci dunque, a vent’anni dal debutto insieme dal vivo di quei due classici contemporanei, dal “Two Friends, a Century of Music”, il lungo, importante tour europeo (20 date) di Veloso e Gilberto che, prodotto dall’italiana BMU, bacia anche la penisola? Un secolo di musica in quanto somma dei rispettivi mezzi secoli di carriera e repertori? Un secolo di musica come libero vagabondaggio nell’insuperato - per vastità e ricchezze - esperanto di samba, choro, baião, bossa, samba, sertanejo, frevo, caipira ma anche rock, pop, jazz, blues, soul e gli infiniti altri folk e ritmi fusi da secoli in quel paradiso di suoni e suonatori? Forse entrambe le cose? L’impresa, inaccessibile ai più, sarebbe senz’altro nelle corde di quei maestri. D’altronde l’ultimo lavoro di Gilberto - fra i due certo il più tradizionalista - è un sentito omaggio all’immensità di Joao (Gilberto). Mentre l’avanguardista Caetano s’è per ora fermato, si fa per dire, ad Abraçaço, che rinnova la sua eternamente carismatica danza fra la ricerca più illuminata e fitta di azzardi - Lindsay, tango, Byrne, umori post rock e trip hop - e l’amor fou per tradizioni e memoria della sua terra. Per ora si solo che la scaletta sarà ad hoc. Che è come dire nulla. Immaginate quei due su un palco con pezzi a casaccio o, peggio, delle ultime incisioni? Vien da ridere al solo pensiero. Come sempre solo il tempo dirà. Per ora c’è solo da giocare a indovinare e cercare la prevendita più comoda. A parte Chieri, in via di definizione, sono tutte già aperte: per Milano vivaticket.it e mailticket.it; per Perugia umbriajazz.com; per Udine (anzi Codroipo, nella bellissima Villa Manin) euritmica.it e ticketone.it, che vale anche per Milano.
Fonte: www.repubblica.it
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