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Vent’anni senza Mia Martini

Il 12 maggio 1995 moriva Mia Martini, una delle più grandi icone della musica italiana. Ora, la sua infanzia diviene parte del nuovo romanzo di Francesco Leto, e con lei rivive anche una Calabria mitica e selvaggia

Il 12 maggio 1995 moriva Mia Martini, una delle più grandi icone della musica italiana. Ora, la sua infanzia diviene parte del nuovo romanzo di Francesco Leto, e con lei rivive anche una Calabria mitica e selvaggia

di Oliva, Miccoluppi e Balzarotti

Sono trascorsi vent’anni dalla scomparsa diMia Martini. Era il 14 maggio del 1995 quando la cantante fu trovata senza vita – ma lo era già da due giorni – nel suo appartamento a Cardano al Campo, in provincia di Varese, dove si era trasferita da poco.
Per ricordarla il 12 maggio, nell’anniversario della sua morte, la casa editrice Frassinelli pubblica Il cielo resta quello di Francesco Leto. Non una biografia, ma un romanzo corale in cui la cantante di Almeno tu nell’universo compare come personaggio minore, ma comunque importante, presente dall’inizio fino all’ultima pagina, una figura ricorrente che di tanto in tanto fa capolino nella vita della vera protagonista del libro, Maria. Il tutto sullo sfondo di quella Bagnara Calabra dove la Martini è nata e cresciuta con le sorelle, tra cui Loredana Berté, la madre Salvina, maestra di scuola elementare, e il padre Giuseppe, insegnante di greco e latino. «Ho inserito delle vicende vere in una cornice legata al mio immaginario personale, in una costruzione narrativa ispirata alle mie origini calabresi», dice Leto, classe 1983, già autore di Suicide Tuesday.

 

 

Come mai Mia Martini?
Perché la sua voce è stata colonna sonora della mia infanzia. Quand’ero bambino e andavo in macchina con mio padre, c’erano queste musicassette con le sue canzoni… Avrò avuto sei o sette anni, ma è un ricordo che ho talmente impresso nella memoria che ancora oggi se mi immagino la solitudine e l’isolamento che questa incredibile artista ha dovuto sopportare, beh, mi si spezza il cuore.

A un certo punto della carriera, quando era già famosa, fu additata come una “porta-sfiga” o “iella kid”, come scrive lei nel libro. E quando si rassegna all’idea che nessuno vuole più farla cantare torna a Bagnara Calabra.
Già, nel suo paese, perché lei da bambina lo aveva detto: «O la cantante o la bagnarota». E perché quelle voci non le aveva certo messe in giro la sua gente. La diceria secondo cui portava sfortuna proveniva semmai dall’ambiente della musica, era un pettegolezzo stupido passato di bocca in bocca tra cantanti, produttori, addetti ai lavori.

Le bagnarote sono le donne di Bagnara Calabra, nel romanzo sono descritte come figure forti e autorevoli, un dettaglio che colpisce.
Non ce lo si aspetta perché nell’Italia dell’epoca le donne erano ancora piuttosto sottomesse, specie al Sud. Ma le bagnarote erano famose per essere delle grandi lavoratrici, addirittura erano loro a mantenere gli uomini. Lo scrittore Stefano D’Arrigo usa un termine che mi piace, “femminote”, per indicare queste donne moderne, all’avanguardia. In particolare si occupavano della raccolta del sale, andavano a piedi su in montagna a barattarlo con il finocchietto selvatico; insomma, reggevano l’economia.

 In questo contesto anche la mamma della Martini mostra una mentalità più aperta di quella del marito: è lei a convincerlo a consentire alla figlia di studiare musica, è lei a portare quella stessa figlia a Milano alla ricerca di un discografico.
Esatto, il padre di Mimì era un uomo severo con cui lei ha sempre avuto, com’è noto, un rapporto difficile. Nel romanzo ho inserito una scena in cui lui accetta, sì, di far avvicinare la figlia alla musica, ma alla lirica, non alla musica leggera. E questo perché considerava quest’ultima “roba per mignotte”.

Dopo la morte della sorella, Loredana Berté diede la colpa al padre, asserendo fosse un violento.
Sì, ma il mio è un libro sulle radici, laddove per radici non intendo la famiglia d’origine, bensì l’habitat naturale da cui si proviene. E nel caso di Mimì, come nel mio, quell’habitat è il mare, il mare che per alcuni rappresenta un rifugio, per altri, quelli che hanno dovuto lasciarlo, un qualcosa che manca, di cui si ha costantemente nostalgia.

C’è un bel passaggio in cui vediamo Mimì al mare con altri bambini e con la sorella Loredana, che lei definisce “selvatica”.
Me la sono immaginata così, di fatto al Sud la vita è un po’ così, selvatica. Nel romanzo c’è tutto ciò che ho vissuto da bambino, tutto il mio immaginario infantile. Per ricordare un titolo di Aldo Busi il mio “seminario sulla gioventù” l’ho fatto là, tra le comari che si apparecchiavano la cicoria, che mondavano, che raccontavano le storie più disparate. Avevano il dono dell’intreccio e della fabula, quando ho iniziato a scrivere mi sono reso conto che le loro chiacchiere sono state per me una sorta di apprendistato.

Ma lei si è fatto un’idea del perché ci sia stato un tale accanimento nei confronti di Mia Martini?
Di fronte a un talento così prorompente, a una voce così fuori dall’ordinario, credo si sia sviluppata una grande invidia. Tutto qui, solo ed esclusivamente invidia.

Fonte: www.iodonna.it

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